Gli «ermetici» parlano volentieri di un'altra Italia

Un convegno promosso da Anna Dolfi, docente nell'ateneo fiorentino, ha chiamato una settantina di studiosi a riconsiderare «L'ermetismo e Firenze». Occasione dell'incontro è stato il secolo dalla nascita di Piero Bigongiari, Mario Luzi e Alessandro Parronchi. Ma nel programma c'è stato posto anche per altri, nati fuor di Toscana: il ligure Carlo Bo - precoce leader di quella generazione - e il salentino Vittorio Bodini, conterraneo e sodale di Oreste Macrì (a Firenze approdato in giovinezza). Al centro dell'ultima tornata dei lavori, Vittorio Sereni. Insomma un festival affollatissimo: testimonianze critiche, letture e riletture di un fenomeno, l'ermetismo, che in Firenze ebbe fra il '35 e il '45 il cuore polemico e creativo, avversato da un fascismo che diffidava di quei giovani (Bo e Luzi, Macrì e Bigongiari, Gatto e Pratolini), delle loro pagine spesso cifrate, oscure come le loro idee politiche, non esplicitamente ostili al regime, ma di quel color “bigio” che suscita sospetti.

Poi, nel '40, irruppe la guerra; degli «ermetici» qualcuno fu preso nel vortice; qualcuno combatté nella resistenza. Dopo il '45 i gruppi si scomposero, magari per ricomporsi ma su uno sfondo fatalmente mutato. A ciascuno toccava un destino specifico, e più non servivano le categorie, le classificazioni di ieri. Forse nemmeno l'ermetismo sopravviveva, sebbene alcuni di coloro che ne erano stati i protagonisti replicassero con fermezza a chi li accusava di essersi isolati in una loro assorta autonomia quand'era invece l'ora della lotta armata. E i poeti «ermetici» imboccarono strade nuove pur senza rinnegare i capisaldi della propria formazione.

Quanto ai tre fiorentini del '14, il percorso di Bigongiari (morto nel 1997) si mostrerà il più avventuroso e complesso nel calarsi dentro le dinamiche profonde del linguaggio e nel tentativo di saldare a questa immersione richiami frequenti alla mitologia e alle Scritture. Meno difficile sembra il cammino di Parronchi (scomparso nel 2007), fiducioso nella capacità dei sentimenti, nella lezione che la vita impartisce a chi sappia, in umiltà, accoglierla. A sé sta il caso di Luzi, e ampia fino alla stagione estrema (2005) è la materia che la sua poesia ci squaderna.

Riconosciutosi «nell'opera del mondo», percepisce e - «nella luce nascente» - celebra la coessenzialità fra tutti gli elementi del creato. Ogni gerarchia si annulla; e non ha più senso il privilegio attribuito da sempre all'umano.

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