Ferrante, la candidatura diventa commedia

Lettere vere, lettere false e regolamenti cambiati in corsa

Ferrante, la candidatura diventa commedia

O gni anno al Premio Strega s'ode uno squillo di tromba, per annunciare un colpetto di scena in grado di far cadere le dentiere al gerontocomio culturale più spompato del mondo. Questa volta non c'è la farsa delle autocandidature, non c'è la Santacroce che posta il culo su Twitter, e nelle vesti di Cavaliere dalla Trista Figura c'è Roberto Saviano. Il quale, udite udite, vuole candidare il suo Sancho Panza senza volto, Elena Ferrante, pseudonimo di autrice ignota. Che risponde: no no, non voglio. Poi ci pensa su e risponde sì sì, per «sparigliare la carte».

Quali carte non ho capito: Elena Ferrante è una bestellerista autrice di polpettoni strappasospiri come l'ultimo Storia della bambina perduta ; si è costruita il personaggio dell'autrice invisibile, un esibizionismo come un altro. Se non la pubblicasse la e/o la pubblicherebbero di corsa Mondadori o Rizzoli (da oggi si dica «il colosso Mondadori-Rizzoli»), e lo Strega lo vincerebbe senza problemi, anche perché gode dell'appoggio di Repubblica e del Corriere della Sera , due giornalini underground a caso. Infatti proprio su Repubblica l'autrice accetta la candidatura, con una lunga lettera a Saviano, perché «stimo te e i tuoi libri», messa male. Intanto puntualizza che se vincerà «si potrà dire che i libri sono stati sottratti una volta tanto ai giochi già fatti»; se non entrerà nella cinquina dei finalisti «benissimo, si potrà dire, definitivamente, senza ombra di dubbio, che lo Strega così com'è è irriformabile e che quindi va buttato per aria». Giochino vecchio come mia nonna morta da quarant'anni e mia zia adottiva e sempre acidissima Aldo Busi, che portata da Dalai ci provò due anni fa: se non vinco, ho vinto lo stesso. Se non altro Busi era un genio vero. Escluso subito perché non voleva partecipare a incontri e feste obbligatori. Non gratis, almeno. Giustamente. Invece, con tanto establishment che la spalleggia dietro e davanti, in cinquina la Ferrante entrerà eccome: a tamburo battente gli zombie del Ninfeo hanno già cambiato le regole per rendere obbligatorio il voto di un piccolo editore, cioè per far entrare lei. Non sarà tenuta a presenziare ai cenacoli, e rimedia pure l' endorsement in prima pagina del Foglio , perché «l'unica cosa essenziale per partecipare o vincere è che il libro sia bello». Chissà perché prima non è mai stato così. In realtà allo Strega se dovessero pure farla vincere, sarebbero furbi: darebbero a vedere di essere alternativi, premiando un altro romanzo per carampane cadaveriche.

C'è poi un ulteriore giallo per walking dead e animelle in pena della letteratura che non c'è: ieri il Mattin o pubblica una lettera firmata Elena Ferrante, anche se il quotidiano premette di «non avere certezza che si tratti proprio della scrittrice». Si direbbe un gioco. Arriva comunque la smentita dalla e/o: la lettera non è autentica. Nonostante il perfetto stile piagnone da vittima sacrificale napoletana. La pseudo-Ferrante ribadiva l'estraneità a un mondo che non riesce a sentire suo e svelava il suo proposito: «scrivere volatilizzandomi; disperdere ogni mia cellula per ogni rigo lasciato al lettore». Missive finte a parte, per essersi volatilizzata la Ferrante è fin troppo rumorosa, ci credo che lei e Saviano si amano così tanto; anzi, se Saviano fosse capace di scrivere romanzi si potrebbe sospettare che dietro allo pseudonimo ci sia lui.

Ultima cosa da capire è se la signora (o il signore, non importa, resta una signora pure fosse un Eleno barbuto, come tutti gli Amici della Domenica del resto, come Roberta, la Saviana) in caso di vittoria andrà a ritirare il premio.

Furbescamente non lo dichiara, annunciare l'assenza potrebbe invalidare la candidatura a priori. In quanto alle firme necessarie, ci penserà l'editore per rispettare l'anonimato. In ogni caso chissenefrega, signora mia, lei è un'autrice senza volto ma mica è Thomas Pynchon, è solo Elena Ferrante.

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