Nei sistemi economico-sociali del mondo contemporaneo poche figure hanno associato indelebilmente il loro nome a un preciso sistema di teoria, prassi, ideologia e valori per il governo dell'economia come John Maynard Keynes (1883-1946). Il celebre economista britannico, relatore alla Conferenza di Versailles e autore del fondamentale saggio Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, ha sistematizzato i ragionamenti sviluppatisi a cavallo tra il XIX e il XX secolo sull'intervento pubblico nell'economia, sul bilanciamento tra attività statale e manovre del settore privato, sulla legge della domanda aggregata come volano per la crescita e lo sviluppo. Keynes costruì una visione dell'economia avente al centro la concezione delle evoluzioni sistemiche come frutto di scelte politiche e collettive, e non di meri calcoli individualistici e utilitaristici come voleva buona parte della vulgata tradizionale.
La filosofia keynesiana ha intrecciato il suo percorso con due grandi stagioni di ricostruzione economica. Negli Usa, con l'era del New Deal roosveltiano dopo la Crisi del 1929 e la Grande Depressione; dall'altra sponda dell'Atlantico, contribuendo a costruire il paradigma dello sviluppo impetuoso dei "Trenta Gloriosi" (gli anni del periodo 1945-1975) che garantì la rinascita dell'Europa.
La trasversalità e l'approfondita elaborazione teorica di Keynes sono inscindibili dalla sua natura di umanista a tutto tondo, ben descritta dall'economista ed ex ministro Giorgio La Malfa nella sua biografia dell'economista di Cambridge, John Maynard Keynes, edita da Feltrinelli. Dal racconto di La Malfa emerge la poliedricità della mente di Keynes. Uomo che viveva a Cambridge metà della settimana, ma il resto dei giorni li trascorreva a Londra, con Virginia Woolf e gli altri suoi amici del Circolo di Bloomsbury, discutendo di letteratura, filosofia e scienza. E che dall'ampiezza dei riferimenti culturali e filosofici e dalla profondità delle sue interlocuzioni riuscì a promuovere l'unica, complessiva visione umanocentrica dell'economia mai diventata maggioritaria nei canoni del capitalismo occidentale contemporaneo.
L'economia keynesiana - La Malfa lo ha bene in mente - è un'economia del possibile. All'immobilismo dei liberisti più ortodossi e anti-statalisti e alle sirene rivoluzionarie bolsceviche o fasciste (che alla prova del governo nei rispettivi Stati spesso non mancarono di trarre ispirazione da alcune sue teorie economiche) Keynes contrappose una terza via. Una riforma graduale del capitalismo in grado di coniugare Stato e mercato e, soprattutto, creare coesione e benessere sociale. Tanto che perfino un uomo dalla profonda sensibilità umana e dall'afflato mistico come l'esponente della Democrazia Cristiana Giorgio La Pira, il sindaco "santo" di Firenze animatore della sinistra del suo partito, nel libelloL'attesa della povera gente sottolineò profondi punti di contatto tra la dottrina keynesiana sul lavoro, fondata sulla ricerca del pieno impiego, e il messaggio della dottrina sociale della Chiesa e del Vangelo per un sistema al servizio dell'uomo. La Pira comprese quanto leggendo le pagine di La Malfa si intuisce: la via keynesiana, nel sistema capitalistico della prima metà del Novecento, era l'unica in grado di coniugare l’efficienza economica, la giustizia sociale e la libertà individuale.
Non è un caso che l'ampia veduta di Keynes prendesse le mosse da periodi della storia da lui vissuti in prima persona in cui tale equilibrio era stato spezzato. In particolar modo, Keynes è il teorico del rifiuto di qualsiasi dogma economico che miri a scaricare sulla popolazione, i lavoratori e i produttori gli effetti delle crisi sistemiche legate o a shock quali guerre e crisi politiche o a terremoti nel sistema finanziario. In sostanza, la lezione che se ne trae è quella del rifiuto dell'austerità come strumento di disciplina economica. E l'economista britannico comprese ciò partecipando ai lavori della Conferenza di Versailles del 1919 e intuendo, giustamente, che le condizioni punitive inflitte alla Germania in termini di richieste di risarcimento avrebbero creato le condizioni per una crisi sociale su scala nazionale e per la diffusione del revanscismo nel Paese. Preludio per un'altra guerra che, nel saggio Le conseguenze economiche della pace, Keynes prevedeva potesse scoppiare entro l'arco della generazione successiva e puntualmente scoppiò nel 1939 dopo che in Germania Adolf Hitler seppe far leva sulla rabbia sociale legata alla rovina economica del Paese e all'austerità imposta dopo la sconfitta nella Grande Guerra e la crisi del 1929 dal governo di Weimar per consolidare le basi del potere del partito nazista.
La pandemia di Covid-19 sta oggigiorno portando a una riscoperta della lezione di Keynes nelle economie avanzate dell'Occidente. Portando alla regressione dell'ideologia neoliberista basata sul rifiuto del ruolo dello Stato e sul principio-guida del taglio alla spesa pubblica, ai bilanci e al welfare che in Europa si è fatta particolarmente sentire sotto forma delle regole scolpite nei trattati. L'Europa, continente risorto dalle macerie grazie al compromesso keynesiano e alle sue consolidate lezioni, ha dopo la nascita dell'Unione Europea elevato proprio i principi dell'austerità e della deflazione interna a fini mercantilistici a dogma di riferimento. Oggi più che mai ci accorgiamo quanto aver dimenticato la lezione dell'economista di Cambridge abbia prodotto danni rovinosi al Vecchio Continente tra il 2010 e il 2012.
Lo scoppio della pandemia ha posto l'Europa di fronte alla necessità di seguire quanto negli Stati Uniti si era compreso da tempo: e cioè che la promozione di politiche anticicliche in caso di forti shock recessivi è il vero volano per la ripresa. Economisti passati a posizione di potere politico come Mario Draghi hanno fin da marzo 2020 promosso questa visione come l'unica possibile, ma l'Unione europea fatica ancora a interiorizzare la necessità di una discontinuità e di una riscoperta di Lord Keynes. Non sarà risolutore il Recovery Fund, non sarà sufficiente la sospensione temporanea dei trattati sul contenimento del deficit e del debito pubblico se non si permetterà ai Paesi dell'Ue di poter tornare a parlare di politica industriale, piena occupazione, scelte strategiche di indirizzo politico. Di economia a 360 gradi. Di una visione sistemica capace di mettere l'economia al servizio dell'uomo.
L'obiettivo fondamentale dell'opera di un uomo che, come si nota dall'opera di La Malfa, fu anche un economistama, prima di tutto, un pensatore, un filosofo multidisciplinare. Lontanissimo dalla figura, artefatta, dell'economista come garante di formule che si ritengono di validità universale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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