Una mostra per raccontare la Torino che cambia

Una mostra per raccontare la Torino che cambia

Guardarsi dentro e riflettere su come eravamo è atteggiamento piuttosto tipico delle nostre città, nel tentativo di capire se qualcosa e cambiato e se è legittimo aspirare alla definizione di metropoli contemporanea. Certo è che a Torino - nel 1988, esattamente un quarto di secolo fa, qui è nato il Salone del Libro - in 25 anni c’è stata una vera e propria rivoluzione. Dove un tempo si parlava di monocultura industriale, di città grigia e noiosa, secondo l’infelice definizione di Stendhal, i cui tempi venivano scanditi dall’ingresso e dall’uscita dal lavoro, nello stesso periodo che ha visto il sorgere e l’affermarsi di una delle più importanti kermesse librario-editoriale sul panorama internazionale, la capitale sabauda ha completamente ridisegnato il proprio volto. Oggi di Torino attirano la cultura e l’enogastronomia, è una delle poche città italiane in cui il cambiamento urbanistico e architettonico è stato visibile a partire dall’appuntamento olimpico del 2006; nel contempo mantiene la vocazione sperimentale e tecnologica.
«La città visibile», la mostra allestita al Padiglione 5 del Lingotto, racconta i cambiamenti di Torino attraverso 25 oggetti simbolo, a loro volta narrati nell’allestimento da altrettanti scrittori (tra questi Andrea Bajani, Elena Loewenthal, Alessandro Barbero, Fabio Geda...): cose che nel 1988 non c’erano e oggi sono diventate parte integrante del tessuto urbano. Allora, ad esempio, l’arte contemporanea di fatto non esisteva: si era appena aperto il Castello di Rivoli, la GAM era chiusa per restauri e le Fondazioni ben lungi dall’apparire. A distanza di 25 anni questo settore è diventato sistema e l’arte è riuscita anche a capire le trasformazioni sociali.
Tra la torcia olimpica e lo Juventus Stadium, la mostra si diverte a mescolare alto e basso, offrendo un ritratto non solo cittadino ma anche nazionale. Dal lungo elenco peschiamo le 21 fermate della metropolitana, aperta nel 2006, decorate da Ugo Nespolo e le luci d’artista; la nuova 500 e Donne informate sui fatti, il primo libro di Carlo Fruttero senza Franco Lucentini; la filosofia alimentare dello Slow Food e le uova di cioccolato di Guido Gobino; la «bolla» di Renzo Piano al Lingotto e il treno alta velocità che ci collega a Milano, disegnato da Giorgio Giugiaro; la musica dei Subsonica e il nuovo Museo del Cinema; la riscoperta della moda, che all’inizio del ’900 nasceva a Torino, con le creazioni di Kristina Ti e Alessandro Martorana; l’MP3 di Leonardo Chiariglione e il motore Common Rail; la Venaria Reale recuperata in tutta la sua bellezza e la sentenza Thyssen, momento più drammatico della storia recente. Non poteva mancare, infine, uno di quei tanti tricolori esposti ai balconi da marzo e per tutto il 2011.

Accusata spesso di guardare al di là delle Alpi, Torino si è invece dimostrata la città più italiana nell’anno del 150mo anniversario dell’unità. Escludendo l’ardore patriottico si tratta più probabilmente di quel bisogno di radici che muove chi affronta la sfida del futuro.
*Curatore, con Roberta Pagani,
della mostra «La città visibile»

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