«La nuova cultura pop viene dalla musica dance»

L’arte ha preso il posto del rock

«La nuova cultura pop viene dalla musica dance»

Londra e il punk, l’elettronica e i conservatori. Sono alcuni dei temi che Jon Savage, critico musicale di riferimento dell’era Sex Pistols, autore de Il grande sogno inglese e de L’invenzione dei giovani, saggio sulla diffusione della cultura per teenager, ha raccontato al Circolo dei lettori di Torino in occasione del «Traffic Free Festival» (giunto alla IX edizione e incentrato sulla «musica mutante» londinese) che stasera si chiude con il live degli Orbital in piazza San Carlo.
Jon, era il 6 giugno 1977 quando i Sex Pistols suonarono in un barcone sul Tamigi nel giorno del giubileo della regina Elisabetta e tu eri lì. È stata davvero l’ultima avanguardia?
«Ci sono stati altri movimenti giovanili che hanno avuto successo negli anni ’80 e ’90, come l’Acid House, ma la Pop Culture 35 anni fa era molto diversa, oggi ha perso quella capacità di impatto, perché allora era possibile che attirasse gente strana come i freak, mentre ormai è integrata nella cultura del capitalismo».
Mi chiedo come il punk si sia evoluto...
«Allora tutto doveva essere nuovo sempre e comunque, attualmente anche il punk è diventato un manufatto pronto per il museo. I punk di oggi sono come quei teddy boys di 35 anni fa che mettevano in discussione. Fu il prodotto di particolari circostanze storiche che non si ripeteranno mai più, nato dalla scarsità, dalla mancanza di abbondanza che noi non conosceremo perché viviamo in un sovraccarico di informazioni. Nel 2013 compirò 60anni, un’età che ha poco a che fare con l’identificazione generazionale, quindi proprio non mi importa di ascoltare canzoni su rituali di accoppiamento di ventenni angosciati perché hanno perso la ragazza. A proposito della freschezza, quindi, non penso ce ne sia molta: la sento non tanto nella musica quanto in movimenti autonomi giovanili quali Occupy Wall Street».
Fenomeni fortemente alternativi sono nati, forse per reazione, sotto i governi conservatori. Con la Thatcher l’arte e la musica vissero un lungo momento di sperimentazione. Ora, con David Cameron, che sta accadendo?
«La reazione molto intensa contro la Thatcher ha sicuramente generato cultura, le persone però attualmente non odiano David Cameron quanto detestavano lei o perlomeno non ancora anche se la politica del suo governo è veramente scandalosa».
Quale musica ascolti e quali sono le band più significative della scena musicale britannica?
«La musica rock è davvero in un brutto momento ed è abbastanza irrilevante nella vita dei giovani, molto meglio la scena dance. Preferisco la musica elettronica perché non ha le parole che spesso sono stupide. Non mi piacciono i Radiohead o forse sono troppo vecchio per loro. In realtà ho smesso di identificarmi con la cultura rock quando si sono sciolti i Nirvana, dopo la morte di Kurt Cobain. Per 5 minuti mi sono piaciuti gli Oasis, ma solo il primo album».
È appena uscito This is PiL, una nuova reunion voluta da Johnny Rotten/John Lydon. Cosa ne pensi?
«La gente fa quello che deve fare. Io l’album non lo ascolterò».
La Tate Modern celebra Damien Hirst, ma lui in fondo prima di arrivare al successo era davvero un bad boy. Che rapporto c’è tra l’eredità punk e il successo della Young British Art?
«All’inizio degli anni 90 le persone interessanti che negli anni ’70 avrebbero formato una rock band sono finite a studiare arte, e quindi direi che la YBA è l’equivalente nell’arte di ciò che il punk è stato nella musica, anche nell’aspetto e nel look (ad esempio Noble&Webster, una coppia di artisti molto famosa, sembrano davvero i componenti di una indie rockband).

Lo spostamento del fattore trasgressivo e dell’effetto choc nell’arte è evidente ma bisogna anche precisare che l’industria della musica ha ucciso la gallina delle uova d’oro, ha ucciso la musica».
Hai mai pogato in un concerto?
«Si, alla prima reunion dei Sex Pistols nel 1996».

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