Parola di Atwood: "Il vero romanzo racconta sempre realtà e potere"

La scrittrice canadese: "Tramite la lingua i regimi influenzano la libertà. La chiarezza è il primo modo per difendersi"

Parola di Atwood: "Il vero romanzo racconta sempre realtà e potere"

Dice Margaret Atwood che «sulla relazione fra linguaggio e potere, e su come il linguaggio influenza la nostra libertà, la vera autorità è George Orwell». Però anche la scrittrice canadese, che ieri sera a Como ha ricevuto il Premio Chandler nell`ambito del Noir in festival, ha esplorato il tema a lungo nei suoi romanzi. Come ne Il racconto dell`ancella e L`altra Grace, appena ripubblicati da Ponte alle Grazie perché trasformati in due serie tv di successo (la prima su Tim Vision, e della quale si sta già girando la prossima stagione; la seconda su Netflix); o in Seme di strega, la sua «riscrittura» (bellissima) della Tempesta di Shakespeare (Rizzoli), dove Prospero è Felix, regista teatrale che perde tutto e cerca vendetta. Il potere e le sue parole; e le parole per essere liberi: come quando, nel Racconto dell`ancella, la protagonista può giocare a Scarabeo. «Questa è la libertà, uno sprazzo di libertà» dice Difred (cioè «di Fred»), nella raggelante Repubblica di Galaad, dove le ancelle, uniche donne rimaste fertili dopo un olocausto ambientale, sono costrette a essere stuprate per dare figli ai Comandanti. Dice la Atwood: «Il potere vuole deformare il linguaggio per nascondere le cose, e la verità. Fa un editing del linguaggio, per rendere plausibile l`impossibile, e fare sì che alcuni pensieri diventino impensabili. I regimi totalitari cercano di evitare la verità e la sua diffusione, perché niente è pericoloso come dire la verità». La parola però è anche l`arma per difendersi: «Per combattere il totalitarismo la prima cosa è la chiarezza del discorso; bisogna difendere la libertà di espressione e di stampa; ed è necessario evitare il più possibile la terminologia dell`offuscamento, perché la vaghezza tiene nascosti i fatti. Per esempio, negli anni `50 si usava questa espressione, acceptable megadeaths, per dire quanti milioni di persone sarebbe stato accettabile che morissero, in caso di attacco atomico». Perciò la scrittrice canadese sostiene «il giornalismo tradizionale, che può essere ritenuto responsabile» e aggiunge che a certi giornalisti, come i tanti uccisi in Messico, in Russia, a Malta, andrebbero fatti «monumenti»: «La relazione fra potere e linguaggio è estremamente importante: che cosa si può dire? Chi può dire che cosa? Chi è stato ucciso per avere detto la verità?». È anche per questo che la Atwood è considerata spesso una attivista, sia dalle femministe sia dagli ambientalisti. «Se uno scrive quello che altri gli hanno imposto di scrivere, non è letteratura, è propaganda. Ma si può scrivere a nome di un movimento, purché non venga imposto». Lei però si considera «una sorta di attivista accidentale»: «Naomi Klein è una attivista, infatti non scrive romanzi. Io mi sono riproposta di scrivere libri di fiction. Ma uno scrittore descrive la realtà, e la realtà è fatta di alti e bassi, di grumi e di difficoltà: c`è chi sta meglio, e chi sta peggio. È inevitabile che ti etichettino come il portavoce di questo o quel gruppo, ma quello che fai, come scrittore, è descrivere la realtà. E, anche se è una realtà che esiste in una galassia lontana e in un tempo che non conosciamo e non conosceremo mai, scrivi sempre della realtà del potere e della disuguaglianza. Altrimenti dovresti scrivere soltanto di una piccola casa e del suo giardinetto...».


Il «giardino» di Margaret Atwood, nata a Ottawa nel 1939, infanzia fra i boschi del nord del Québec al seguito del padre entomologo, studi a Harvard, specializzazione sull`epoca vittoriana e la ribellione canadese del 1837 (quella che fa da sfondo a L`altra Grace), esordio a 19 anni con la poesia («all`epoca in Canada era più facile pubblicare poesie che romanzi»), varie candidature al Nobel, è invece «molto più ampio». Nello spazio e nel tempo. Un esempio è Il racconto dell`ancella, pubblicato nell`86: nato da un viaggio Oltrecortina e dall`esperienza del controllo e del sospetto nei regimi dell`Est, oltre che dallo studio delle comunità puritane del Seicento nel New England («i miei antenati appartenevano a quel gruppo, alcuni erano francesi cacciati perché ugonotti. Forse erano attivisti...»), il romanzo è stato considerato prima anti islamista, perché racconta di donne rese schiave sessuali, coperte da capo a piedi, a cui è proibito leggere e scrivere; ora invece è spesso re-interpretato in chiave anti Trump: «L`America di oggi è molto più vicina a quella situazione. Mi sembra evidente che a Trump piacerebbe essere a capo di uno stato totalitario e dittatoriale. Lui non ha questa base ideologica religiosa e puritana, ma il suo vice sì, e anche molti che siedono nella Camera dei rappresentanti». Oggi si scrivono distopie perché «i giovani sono preoccupati per il futuro, e hanno le loro ragioni»; e soprattutto le donne sono preoccupate, perché «un regime totalitario controlla ogni cosa nella società, ma soprattutto le donne, e l`avere o non avere figli, e chi può averli». Perciò le donne «sono arrabbiate», e poi ovviamente il caso Weinstein... «Una storia molto vecchia, molto umana. Chi ha grande potere pensa di poter fare quello che vuole, soprattutto di fronte a certe ragazze giovani che vogliono fare carriera e sono più vulnerabili. Io non mi sono mai sentita aggredita personalmente, non so perché... Sono cose che succedono a Hollywood e anche altrove. Ma è un problema che si affievolisce con l`età». È vero, lei in passato ha scritto su Playboy: «Sì, è assolutamente la bibbia della donna oggetto. Ma che cosa fai, predichi fra quelli già convertiti? E poi non mi interessa mantenere la mia immagine virtuosa, è troppo tardi. Lascio che mi dicano: "Oh Margaret, come sei stata cattiva, hai scritto sui Playboy"».


Dice di essere «felice, per la maggior parte del tempo», anche se «la felicità è un effetto collaterale, non un obiettivo». Qualcuno la considera un po` una strega? Ride. «Non mi preoccupo di questa fama. Vi racconto una storia.

Il giorno prima di Halloween stavo spazzando le foglie secche fuori dalla porta di casa - in Canada succede spesso - e il mio vicino, un avvocato molto simpatico di nome Sam, mi ha detto: "Margaret, non devi farti vedere con la scopa. Non lo sai che ti chiamano la strega cattiva?" E io: "Sam, il timore ispira più rispetto della bontà"».

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