L'orrore delle Br nel libro di Mario Di Vito

In un libro edito da Laterza, la storia dell'omicidio di Roberto Peci per mano delle Br di Giovanni Senzani s'intreccia con l'epopea familiare del magistrato Mario Mandrelli

Roberto Peci durante il "processo"
Roberto Peci durante il "processo"

Se è vero che l’Isis ci ha abituati alla spettacolarizzazione del male, con brutali esecuzioni riprese e montate ad arte, avvalendosi di produzioni che nulla hanno da invidiare alle più blasonate piattaforme occidentali, è altrettanto vero che noi italiani abbiamo la memoria corta e tendiamo a rimuovere i traumi (troppi) della nostra fragile (troppo) democrazia.

Uno di questi traumi diventa oggetto e protagonista assoluto di un libro edito da Laterza e firmato dal giornalista Mario Di Vito. Il titolo è Colpirne uno, ritratto di famiglia con Brigate rosse. Avvalendosi di ricordi familiari, diari, documenti ufficiali e carte processuali, Di Vito sviscera quello che può essere considerato uno dei colpi di coda più sanguinari della Brigate rosse: l’omicidio di Roberto Peci, fratello di Patrizio, il più famoso pentito dell’organizzazione terroristica. Un’uccisione brutale, epilogo di un “processo” che – così come l’esecuzione – viene interamente filmato per poi essere diffuso attraverso i media.

Una storia nazionale che, come suggerisce il sottotitolo del libro, s’intreccia con quella privata della famiglia dell’autore. Suo nonno materno, infatti, è Mario Mandrelli, il magistrato marchigiano scomparso nel 2007, che seguì le indagini prima sul rapimento, poi sull’uccisione di Roberto Peci e che, nel 1986 – cinque anni dopo il fatto di sangue -, porterà a processo e a condanna i brigatisti colpevoli, primo fra tutti l’enigmatico Giovanni Senzani.

Una storia ricostruita con la precisione della cronaca giornalistica, ma da cui trasuda l’affetto per un nonno oggi forse poco noto al grande pubblico, ma che in anni tormentati si batté con coraggio e determinazione per ottenere giustizia, cercando al contempo di tenere le fila di una famiglia che da questa esperienza uscì senza dubbio provata, ma ancora più unita. Perché se a fare il magistrato era solamente uno dei suoi componenti, in trincea ci sono finiti tutti: moglie, figli, nipoti. E il nemico non era da sottovalutare. Verso il tramonto della loro tragica storia, le Brigate rosse si scissero in diversi tronconi. Una volta arrestato Mario Moretti, la “sfinge”, secondo una definizione di Sergio Flamigni, a prendere in mano le redini dell’organizzazione – o meglio, della branca denominata Partito della guerriglia – è proprio Senzani, cognato di un altro brigatista di spessore, l’attuale dantista Enrico Fenzi.

Giovanni Senzani è figura inafferrabile, da sempre in chiaroscuro. Di lui non si fidavano pienamente nemmeno i brigatisti, per il sospetto che rispondesse a entità su cui mai fin ora è stata fatta luce. Criminologo, professore universitario, con un’attenzione particolare verso il mondo delle carceri, Senzani non è mai stato tirato in ballo per il Caso Moro, anche se sono in molti a sospettare che fosse lui a interrogare il leader democristiano nell’arco dei 55 giorni di prigionia. A lui è dedicata un’opera fondamentale e necessaria per capirne il vero spessore: Il professore dei misteri, e con lo Stato e con le Br, di Marcello Altamura, il giornalista che per primo è riuscito a dimostrare che Senzani era membro delle Brigate rosse già a partire dal 1977, come riportato su una nota del Sismi redatta al principio degli anni Ottanta.

Il libro di Mario Di Vito non ha certo l’intenzione di svelare misteri o offrire letture alternative a fatti ormai lontani nel tempo e spesso dimenticati, tuttavia è un documento prezioso, perché ci riporta nel clima di quegli anni in tutta la loro semplice complessità, quando alla genuinità ideologica di certe azioni di inizio anni Settanta, si sostituirono le condotte torbide in cui s’intrecciavano terrorismo, ideologia, criminalità organizzata e servizi segreti più o meno deviati. Ne è caso esemplare il sequestro del notabile della Dc campana Ciro Cirillo, altra impresa memorabile compiuta dalle Br di Senzani, ma il culmine – appunto – viene raggiunto dal sequestro e dall’omicidio di Roberto Peci, una vendetta trasversale più incline agli schemi mafiosi che non a quelli brigatisti: colpirne uno per educarne cento, appunto.

Il 3 agosto 1981, Roberto – operaio, in attesa della sua prima figlia - pagò per la collaborazione di suo fratello. Fu tenuto prigioniero per quasi due mesi e, infine, crivellato di colpi in un rudere alla periferia di Roma. Come già ricordato, tutto venne filmato, esecuzione compresa, e poi inviato ai media. A fare da sfondo, come macabra colonna sonora, l’Internazionale.

Se l’Isis dunque ha portato nel mondo la spettacolarizzazione del male, di certo non ha inventato niente di nuovo. Per Senzani la lotta armata era solo un aspetto dell’attività eversiva: un’altra componente fondamentale era la propaganda, il proselitismo, il rapporto con gli organi di comunicazione di massa. Primo fra tutti i terroristi di sinistra (e a suo modo un unicum nel panorama terroristico italiano), Giovanni Senzani aveva compreso la potenza delle immagini, il loro valore simbolico. E l’aveva capito anche Mario Mandrelli, che infatti fece condannare a pene severissime gli autori di quell’abominio.

Con “Colpirne uno”,

Mario Di Vito apre i cassetti delle memorie della sua famiglia, offrendo al pubblico un prezioso frammento di storia che, altrimenti, sarebbe rimasta a solo appannaggio dei diretti interessati. E per questo lo ringraziamo.

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