Oltre mille giorni in carcere, una storia di ordinaria malagiustizia

Lo scrittore Accardo e l'avvocato De Pascalis con il legal thriller Solo tredici chilometri rievocano un caso avvenuto all'inizio degli anni duemila in provincia di Bolzano, quando un innocente finì in carcere per 1041 giorni.

Oltre mille giorni in carcere, una storia di ordinaria malagiustizia

Un legal thriller da poco nelle librerie che, riavvolgendo i verbali del processo, si ispira a un fatto di cronaca nera capace di scuotere l'opinione pubblica altoatesina tra il 2001 e il 2004. In questa vera e propria ricostruzione storica c'è una ragazza vittima di violenza e brutale omicidio, un avvocato alle prime armi, un innocente finito in galera e un Procuratore della Repubblica di Bolzano che si fissa su una tesi accusatoria nonostante nel corso del procedimento giudiziario emergano sempre più elementi utili al proscioglimento dell'imputato. Alla fine, quell'uomo sconterà 1041 giorni di ingiusta detenzione per colpa di una ricostruzione del tutto inesatta della vicenda da parte di una magistratura inquirente intestardita sulle proprie tesi accusatorie.

Le penne che scrivono Solo tredici chilometri - il titolo di questo romanzo edito da Edizioni Alphabeta - sono quella di Giovanni Accardo ma, soprattutto, quella di Mauro De Pascalis, ovvero l'avvocato che nella realtà difese l'imputato di San Candido ingiustamente detenuto per un sospetto infamante. Se Accardo è uno scrittore affermato in provincia di Bolzano, De Pascalis è un noto avvocato penalista con un recente passato politico da consigliere comunale nelle file del Partito Democratico che proprio all'inizio della sua carriera professionale fu protagonista di un duro scontro con gli inquirenti del caso di cronaca ora trasposto in un romanzo capace di tenere il lettore sul filo del rasoio fino all'ultima riga.

"Il mio ufficio ritiene che quanto prodotto dalla difesa sia assolutamente irrilevante ai fini del presente processo", arriva a sostenere la Procura - si legge in un passo del romanzo - quando l'avvocato Marco De Vitis porta nel processo le prove dell'innocenza del suo assistito. Perché Martin Scherer, accusato dell'omicidio di Johanna Pichler, ritrovata senza vita con un indumento che aveva subito indirizzato le indagini verso un unico imputato, in realtà con quella ragazza ci aveva avuto ben poco a che fare. E sicuramente non l'aveva uccisa, visto che dalle varie testimonianze era chiaramente emerso come in questa storia si fossero alternate altre persone, tra le quali un camionista tedesco dal torbido passato sul quale la Procura però si era sempre rifiutata di compiere indagini.

In “Solo tredici chilometri” non c'è la persecuzione della magistratura verso una parte politica, non ci sono gli intrighi di palazzo svelati recentemente dal caso Palamara, non c'è traccia di alcun tipo di nemico da combattere ma c'è di peggio, se possibile. Il romanzo mette in evidenza come nella vicenda giudiziaria che ha rovinato la vita a un uomo innocente il quale nel corso del processo mai cambiò la sua versione dei fatti, nonostante ci fossero indizi che portavano chiaramente a valutazioni di indagine a favore dell'imputato, per motivi sconosciuti la Procura decise di percorrere cocciutamente e a testa bassa la sua tesi accusatoria, fino alla confessione del vero omicida.

Cinque i vani tentativi di chiudere il cerchio delle indagini da parte del PM Capizzi, nonostante la richiesta della difesa di aprire un altro filone d'indagine favorevole all'imputato e che individuava nel camionista tedesco un possibile sospetto. Proprio perché sarebbe compito del PM, con i suoi potenti mezzi investigativi, fare indagini a 360gradi, quindi anche a favore dell'imputato. Un procuratore che scopra qualcosa in favore della persona indagata non dovrebbe fare finta di niente, grida il romanzo, come invece accade quando la PM Capizzi decide di non prendere in carico altre line investigative, mancando di fare le adeguate ricerche su quel camionista che era stato visto parlare con una ragazza che poteva corrispondere alla descrizione di Johanna Pichler.

Perfino di fronte alla richiesta degli ispettori tedeschi di ottenere dalla Procura il fascicolo dell'indagine, questa risponde che non se ne ravvisa la necessità, visto che il colpevole dell'omicidio Pichler è già stato assicurato alla giustizia. Insomma, se i colleghi germanici avevano sospettato che quel camionista tedesco già detenuto per reati simili potesse essere l'autore materiale del delitto Pichler, la procura bolzanina semplicemente decise che per loro le indagini erano terminate. Ma un imputato non può essere condannato se non al di là di ogni ragionevole dubbio, si ripete continuamente l'avvocato De Vitis che in qualche modo sperimenterà sulla sua pelle lo sbilanciamento tra il bazooka investigativo messo in campo dalla Procura per sostenere la sua tesi e le magre possibilità di difesa di un legale alle prime armi. Se si legge questo romanzo consapevoli del fatto che il narrato rappresenta una perfetta ricostruzione della vicenda di cronaca,è impossibile non rimanerne angosciati, perché quel Martin Scherer potrebbe essere noi, oggi o domani.

Alla fine, come nella vicenda reale di cronaca, la sentenza decreterà l'estraneità totale dai fatti per Scherer,

anche se nessun imputato esce del tutto innocente da un'aula di tribunale. Perché anche la sentenza di assoluzione più totale prevede una condanna: il tempo passato nella sua attesa. In questo caso, 1041 giorni e 1041 notti!

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