Quando lo Stato fa un affare con l'arte

Il ministero si aggiudica sette straordinarie tele barocche di Gregorio de Ferrari per 700mila euro. Valgono 15 milioni

Quando lo Stato fa un affare con l'arte

Accade qualcosa di straordinario. Lo Stato italiano si è improvvisamente e meravigliosamente arricchito con un'importantissima acquisizione che arricchisce le gallerie di Genova. Era già accaduto due anni fa con l'acquisto, da molti incompreso, di un capolavoro di Ludovico Brea, una Assunta, messa in vendita da Wanennes. Ora è la volta di sette grandi tele di Gregorio de Ferrari (1644-1726), in due serie, quattro con Le fatiche di Ercole, tre con le Metamorfosi di Ovidio, provenienti da Palazzo Cattaneo Adorno a Genova, e successivamente acquistate in società dall'antiquario Pagano e dal finanziere e grande collezionista Orazio Bagnasco.
Le opere erano riconosciute e messe in vendita, scomparsi i due intraprendenti proprietari, a un'asta Sotheby's a Milano l'8 giugno del 2011. Un opportuno vincolo, potenziato dall'accorpamento delle tele in due gruppi, ha provvidenzialmente impedito che questi assoluti capolavori del barocco italiano non fossero esportate e vendute all'estero, dove il loro valore non sarebbe stato inferiore ai 15 milioni di euro. Incredibilmente, iniziata la crisi del mercato, e con l'obbligo della permanenza in Italia delle opere, l'asta andò deserta.
Gregorio De Ferrari è nella Genova di Rubens e di Van Dyck il più estroso, fantasioso e originale maestro tra Barocco e Rococò: certamente uno dei pittori più significativi della città ligure tra '600 e '700. Interprete appassionato di Correggio, fu influenzato in pittura e in scultura dalle «novità romane» diffuse dagli allievi del Bernini. Il più evidente esempio è nei due cicli che oggi si è aggiudicato lo Stato.
Si dirà: ma perché comprare in tempi di crisi? Risposta: per aumentare il patrimonio reale italiano anche rispetto al suo valore economico. È senza precedenti, infatti, pagare 700 mila euro ciò che vale 15 milioni di euro. E come è accaduto? Mi sembra giusto rivendicare in questa vicenda la determinazione con cui ho tentato di trovare casa ai sette dipinti. Dopo la mancata vendita milanese ho convinto Emanuele Emmanuele della Fondazione Roma, cui è stato impedito l'acquisto da miopie e formalismi burocratici della sua pur agile amministrazione. Non domo, dopo qualche mese, ho interessato il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di La Spezia, Matteo Meley. Avuta la sua disponibilità, ho appreso che le opere erano state vendute a trattativa privata. Mi sono immediatamente precipitato dal titolare dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi per dirgli della singolare opportunità e attivare, come la legge prevede, il diritto di prelazione. Il ministro mi ha ascoltato. Ha verificato che non c'erano fondi disponibili e mi ha manifestato l'intenzione di cercare contributi privati. Ho insistito, ritelefonato, ho visto questa acquisizione come la prima testimonianza della auspicata coincidenza tra Economia e Beni Culturali, nella prospettiva di un Ministero del Tesoro dei beni bulturali. Non acquistereste la Ferrari 250 GTO di Stirling Moss, quotata 30 milioni di euro se vi fosse offerta a 30 mila euro?
Da allora non ho avuto più notizie rassicuranti. Fino a che, nell'ultimo incontro con il ministro, non ho saputo che la ricerca di fondi era fallita, il bilancio dello Stato non consentiva l'acquisto e che le opere erano perdute.
Soltanto due giorni fa, sollecitato da Anna Orlando, studiosa genovese, ho saputo dal commercialista di Bagnasco che lo Stato aveva esercitato la prelazione per 700mila euro. Una notizia straordinaria di cui il ministro non era a conoscenza. Aveva dunque acquistato nell'interesse dello Stato i due importantissimi cicli di De Ferrari a sua insaputa.
Si può sorridere di questa circostanza o autonomia dell'organo politico rispetto a quello tecnico che ha coscienziosamente portato a termine la pratica. Ma si rimane sorpresi di questa totale assenza di visione della politica. L'acquisto meritorio e incosapevole delle opere di De Ferrari ripaga il Ministero dell'errore compiuto con il famoso crocifisso attribuito a Michelangelo, e pagato nel suo modesto interesse, per l'improprio altisonante nome, cinque volte più delle sette tele di De Ferrari.
La notizia esce ora, clandestina. Roboanti conferenze stampa per lo pseudo Michelangelo, silenzio per De Ferrari. E anche ingratitudine o, meglio, inconsapevole gratitudine perché il ministro dei Beni culturali non dev'essere bene educato se, informato dell'acquisto, non me lo ha comunicato; e sono io a comunicarlo a lui. Ma poco bene assistito dal Capo di Gabinetto (non so chi, essendosi dimissionato Salvo Nastasi) e dal Segretario generale Antonia Pasqua Recchia, se non lo hanno messo nelle condizioni di presentare al mondo l'importantissima acquisizione. La notizia la diamo noi, a buon diritto. E non potremo essere rimproverati se il ministro, a chi lo aveva stimolato, non ha comunicato la lieta novella.

Se Sandro Bondi fu malconsigliato da tecnici impreparati per l'acquisto del supposto Michelangelo, Ornaghi rischia di non poter onorare davanti al mondo la sua funzione dopo tante critiche, ignorando di avere compiuto una scelta importante, oltre che economicamente vantaggiosa. La prima decisione importante del Governo Monti. A sua insaputa. Dopo tante polemiche, perché perdere l'occasione di essere lodati da antagonisti motivati come Settis, Merlo, Montanari?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica