Mettiamoci d’accordo. I numeri sono numeri, gli unici oggetti che sopravvivono alla manipolazione e al gioco opinionistico. Soprattutto, se si parla del comparto scuola, di finanziamenti e politiche fiscali. Là dove, viceversa, imperversa il semplicismo ideologico, la contrapposizione aprioristica tra scuole statali e paritarie, che in Italia sono in larga parte cattoliche. Proviamo a stringere la fotografia, appoggiandoci anche su un intervento che appare nel nuovo numero della rivista Vita e pensiero , in uscita mercoledì prossimo. Sergio Cicatelli, direttore del Centro studi per la scuola cattolica della Cei e docente di legislazione scolastica, inanella cifre e stana pregiudizi.
Anzitutto, il comparto: il sistema della scuola cattolica comprende oltre 800mila alunni e dà lavoro ad oltre 100mila dipendenti. Una realtà formativa e occupazionale, non quell’isola del privilegio spesso raccontata dalla pubblicistica anti- cattolica. Piuttosto, la scuola cattolica, «nata per venire incontro alla domanda di istruzione delle fasce più deboli », è oggi spesso costretta a «chiedere il pagamento di rette sempre più gravose» per una situazione di palese squilibrio, se non di discriminazione, rispetto alla scuola statale. Esagerazione? Mica tanto. Chiariamo: «Da un punto di vista giuridico la quasi totalità delle scuole cattoliche gode del riconoscimento di parità previsto dalla legge 62 del 2000, che ha istituito il sistema nazionale di istruzione, costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie». Eccolo, il grande nondetto ideologico: anche le scuole cattoliche, sono pubbliche. Fanno parte del nuovo sistema nazionale dell’istruzione, impostato a sinistra in solitudine da Luigi Berlinguer, che finalmente ha spazzato via un equivoco. Funzione pubblica non vuol dire tentacolo statale. Scuola pubblica è qualsiasi scuola soddisfi i criteri e le esigenze dell’istruzione in un orizzonte pluralista, non Scuola di Stato.
Ma allora, a maggior ragione diventa inaccettabile la disparità di trattamento finanziario. Con le parole del Rapporto sulla scuola in Italia della Fondazione Agnelli: «La legge introduce la parità, ma solo in termini giuridici, non realizzando contestualmente la parità sostanziale e cioè le condizioni affinché le famiglie possano scegliere liberamente, senza condizionamenti economici, fra le scuole facenti parte del sistema nazionale di istruzione, statali o paritarie che siano». E dire che, tralasciando questioni di principio come la libertà educativa delle famiglie e l’uguaglianza dei soggetti di fronte alla legge, allo Stato converrebbe riconoscere il giusto sostegno alle scuole paritarie, proprio dal punto di vista dei conti della serva. Lo si capisce senza possibilità d’equivoco spulciando una ricerca recente, La buona scuola per tutti - statale e paritaria , di Anna Monia Alfieri, Maria Chiara Parola e Miranda Molteno (Giuseppe Laterza, pagg. 242, euro 10). Domanda semplice: «Quanto spende la Repubblica italiana per ogni allievo, per tutti i servizi d'insegnamento? ». Risposte: 6116 euro per la scuola dell’infanzia, 7366 euro per la primaria, 7688 per la secondaria di primo grado, 8108 euro per la secondaria di secondo grado. Ecco invece la spesa dello Stato per ciascun studente di scuola non statale: 584 euro per la scuola dell’infanzia, 866 per la primaria, 106 per la secondaria di primo grado, 51 per la secondaria di secondo grado.
Già ad oggi, grazie alla frequenza da parte di più di un milione di studenti delle scuole paritarie (di cui oltre 800mila in paritarie cattoliche), le casse statali risparmiano 6254 milioni di euro. Conclusione: «È dunque economicamente strategico per lo Stato incrementare le risorse economiche affinché il sistema paritario possa sostenersi e le famiglie italiane possano sceglierlo». Mentre «ogni riduzione in Legge Finanziaria sul sistema paritario comporta in realtà un incremento di spesa per lo Stato di oltre 10 volte la cifra risparmiata ». Le politiche avverse per principio alle scuole cattoliche appaiono dunque masochiste, prima che inquinate ideologicamente. Chi alimenta il pregiudizio contro la scuola paritaria, danneggia l’intero sistema scolastico. Anche perché il sostegno richiesto dagli istituti privati assume forme diverse da quei finanziamenti diretti tanto invisi a parte dell’opinione pubblica. Anzi, le stesse autrici de La buona scuola pubblica hanno in mente come soluzione principe, oltre agli sgravi fiscali, un «voucher» da assegnare alle famiglie e «da spendere presso la scuola scelta liberamente»: un aiuto ai genitori per esercitare la propria libertà educativa, non agli istituti fisici. Politica sociale e non ideologia, insomma.
La realtà, oggi, è questa: «lo Stato non potrebbe sostenere il costo che si scaricherebbe sulla scuola statale se la scuola paritaria smettesse di funzionare». Aritmetica, numeri, conti della serva. Che raramente trovano cittadinanza nel dibattito.
Come scrive nel suo intervento Cicatelli, «nell’opinione pubblica e nella prassi prevale un paradigma scolastico statale (e statalista) che trascura di valorizzare le potenzialità di un sistema scolastico plurale in cui una sana concorrenza possa stimolare il miglioramento continuo degli standard qualitativi ». Pluralismo, concorrenza, meritocrazia. Ovvietà. O no?
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