Quel fanatismo devoto che portò la Germania all'inferno Il libro di Ian Kershaw

L'epilogo fu selvaggio e feroce, combattuto casa per casa. Carri armati russi T-34 contro ragazzini della Hitlerjugend armati di panzerfaust. Città sventrate dai bombardamenti ma ancora difese da cecchini fanatici disposti a morire per il Führer. Che la caduta del nazismo negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale abbia avuto queste caratteristiche è cosa arcinota agli storici, e anche al grande pubblico.
Però il nuovo lavoro di uno specialista del nazismo come Ian Kershaw - La fine del Terzo Reich. Germania 1944-45 (Bompiani, pagg. 622, euro30) - scava in profondità nei meccanismi che consentirono una così cocciuta resistenza. Si tratta infatti di un caso quasi unico di resistenza totale. Nessun regime a parte quello di Hitler, infatti, ha mai mostrato una così grande determinazione a resistere sino all'annientamento totale. Kershaw, professore di storia moderna all'università di Sheffield, dimostra sin dalle prime pagine che non si può considerare una spiegazione la repressione dei nazisti verso ogni tentativo di rivolta. A fare la differenza fu da un lato la Wehrmacht che continuò a combattere e spesso si sostituì alle strutture civili e politiche ormai al collasso, dall'altro la popolazione.

Se dopo la guerra è diventata vulgata comune che i tedeschi erano «obbligati» a resistere, Kershaw invece dimostra come il principio del dominio carismatico avesse penetrato in profondità la loro mentalità. Può sembrarci un meccanismo irrazionale, ma aveva plasmato un'intera nazione.

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