«La scultura? Un disegno infinito»

«La scultura? Un disegno infinito»

C’è sole e vento leggero nel caffè di piazza del Duomo a Pietrasanta. Da quell’angolo si vedono tre gigantesche sculture bronzee, una donna a cavallo, due ballerini e una pingue figura femminile sdraiata nel sonno. «Le hanno montate stamattina, ne arriveranno altre tre, un enorme cavallo, un ratto d’Europa e un gigantesco gatto che sarà posto sul sagrato della chiesa» dice sorridendo Fernando Botero.
Capelli brizzolati, occhi vigili dietro gli occhiali scuri, maglietta pervinca, l’artista colombiano sta preparando una grande mostra per i suoi ottant’anni. Si apre dopodomani con il titolo «Botero: disegnatore e scultore» (sino al 2 settembre) e presenta, oltre ai sei bronzi monumentali in piazza del Duomo, altri dieci di dimensioni leggermente minori nella chiesa di Sant’Agostino nella stessa piazza, insieme a 87 disegni, di cui 40 molto grandi, un ciclo di acquerelli su tela «come non li fa nessuno». Un grande corpus scultoreo e grafico, con tutti i temi e le tecniche usate in sessantacinque anni.
Dal caffè si vede la collina con le vecchie mura e la casa dell’artista, tra gli ulivi, in via della Rocca. Nella cittadina apuana Botero era arrivato trent’anni fa in visita all’atelier dello scultore Jacques Lipchitz. Si portava dietro un piccolo modello, che desiderava fondere in uno dei vari laboratori. Da quel momento Pietrasanta è diventata il luogo di elezione, dove passare ogni anno giugno e luglio. Molte le sue tracce, da La Porta del Paradiso e La Porta dell’Inferno, due pitture realizzate nel 1993 nella chiesa della Misericordia, all’imponente Guerriero in Piazza Matteotti.
Botero, perché in questa occasione ha scelto di esporre disegni e sculture?
«È la prima grande rassegna dedicata al disegno, molte opere grafiche non erano mai state esposte sinora».
Che valore ha per lei il disegno?
«È la base di tutto, è ciò che costruisce la forma sia in pittura che in scultura. La scultura non è altro che un disegno infinito, che contorna la figura da tutte le parti, la pittura non è che colore tra le linee del disegno. Io ho cominciato disegnando e poi dipingendo ad acquerello figure di toreri».
Sarebbero felici di sentire queste parole i pittori fiorentini del Cinquecento, Pontormo in primis, quando disputavano delle priorità delle Arti e insistevano proprio sul disegno. Toreri e corride sono poi nel suo Dna...
«Sì, perché mio zio mi aveva iscritto a una scuola di toreri a dodici anni. Ci sono stato un paio d’anni, ma non era la mia strada. Molto presto ho frequentato scuole di pittura colombiane e accademie italiane. Ma sono un autodidatta, ho imparato leggendo libri di tecnica, provando, sbagliando, copiando per ore i quadri del Prado, del Louvre e degli Uffizi».
E ora Botero ha studi e atelier sparsi in tutto il mondo, da New York a Parigi a Monaco ad altre città e ben quattordici mercanti internazionali che vendono suoi dipinti, disegni e sculture. Alla scultura si è dedicato dal 1973, qual è stata la prima opera con questa tecnica?
«La scultura della mia mano, poi replicata in grande. Quando lavoro la creta dimentico la pittura, che è la mia grande passione. Modello, riproduco l’opera in gesso e poi le fonderie di Pietrasanta fanno la fusione in bronzo, l’antico sistema della cera persa, usato da Michelangelo, Cellini... (Gli occhi gli brillano soddisfatti, perché se è fiero delle sue radici colombiane e della pittura messicana popolare, che lo ha nutrito fin da quand’era in fasce, è altrettanto orgoglioso della italianità acquisita)».
Qual è il suo pittore ideale?
«Piero della Francesca è il mio modello. La forma pura, senza ombre, fatta di volumi e prospettive».
È dunque di lì che nascono quei grassoni e quelle grassone, che non sono altro che studio di volumi in relazione al colore e allo spazio?
«Quella grassezza è sensualità, esagerazione, esaltazione di oggetti e figure. I nudi di Michelangelo, ad esempio, non sono realistici, sono un’interpretazione della realtà che va al di là...».


Come definirebbe la sua arte?
«Figurativa, decisamente, anche un po’ visionaria, perché io lavoro di immaginazione sulla base della realtà, attingendo molto alle scene quotidiane messicane».
Infine, domanda provocatoria, cosa ne pensa dell’arte contemporanea, delle Biennali?
«Per carità (allarga le braccia in gesto significativo)».
info@mauriziatazartes.it

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