Trucchi e colpi bassi nel mondo dell'arte

P ur essendo stato tacciato di essere romanzesco, Il re dei confessori di Thomas Hoving (Nutrimenti) è una riuscita via di mezzo tra un saggio d'arte e l'autobiografia di un testimone. Controverso direttore del Metropolitan Museum tra il 1967 e il 1977, il newyorchese Hoving (1931-2009) da ragazzo si appassiona alla storia dell'arte per caso, perché gli sembra una materia poco faticosa da studiare. In breve, grazie a un'incredibile faccia tosta e un indubbio talento nel capire al volo le situazioni, intuisce che quello del curatore può diventare un mestiere redditizio. Nel 1960 mette per la prima volta piede al dipartimento medievalistico del Met, un distaccamento soprannominato The Cloisters, diventando pupillo del direttore James Rorimer. Il giovane Thomas è ambizioso e conquista la fiducia del capo con la competenza nel distinguere autentici gioielli da clamorose patacche. Quali le regole per riconoscere i falsi? Facili da smascherare sono le copie perfette, ma anche i collage di elementi presi da diverse opere e rimontate insieme; più difficili da individuare sono i presunti originali. Lì gli storici tentennano per il dubbio di essersi imbattuti in un inedito, magari giovanile. Non c'è peggior errore per un professionista, infatti, di bollare come falsa un'opera autentica.
La vicenda da cui il volume prende il titolo, Il re dei confessori, prende spunto da una strana scritta riportata su una bellissima croce in avorio di tricheco che sarebbe difforme dalle normali iscrizioni. Hoving si mette sulle tracce di quest'oggetto misterioso che appare e scompare dalla scena, inizialmente di proprietà di un certo Topic Matutin Mimara, losco e inafferrabile. Tutto sconsiglierebbe l'acquisto, eppure Hoving è convinto. Comincia dunque una pirotecnica sarabanda di trattative nascoste, tra critici ed esperti che si fanno le scarpe per ambizione personale. Mai chiedere informazioni a un collega, suggerisce Hoving, e soprattutto ricordarsi sempre che un mercante non potrà mai diventare conservatore di un museo; mentre quest'ultimo potrà aprire una galleria o lavorare per una casa d'aste, proprio come è accaduto a lui. Sullo sfondo ci sono diversi protagonisti della «lotta» per le attribuzioni dell'antico, e tra questi importanti studiosi come John Rewald o il principe dei conoscitori, sir John Pope-Hennessy. E, afferma tra le righe Hoving, nessuno è immune da errori, se così si vogliono chiamare.
Ciò che emerge da questa avvincente lettura è il ruolo del museo: il primo principio filosofico del Met è l'acquisto di nuove opere importanti, strappate al miglior prezzo in una lotta che non prevede esclusioni di colpi nei confronti dei maggiori competitors, Louvre, British Museum, Victoria & Albert ecc… Altro che museografia o conservazione: la priorità sta nel business e dunque il ruolo del mercato diventa decisivo, non solo quello ufficiale e alla luce del sole ma, soprattutto, quei traffici che hanno bisogno di persone che si muovano nell'ombra, sapendo che a ogni passaggio deve rimanere giù qualcosa in termini di percentuali e provvigioni.

Quando il libro uscì in lingua originale, nel 1981, Hoving dovette difendersi da numerosi attacchi ma nella sostanza nessuno ha mai smentito che l'affaire «re dei confessori» fosse un ritratto credibile dei colpi bassi nel mondo della critica d'arte.

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