Il 18 agosto del 1946 era una domenica di sole come tante altre in Istria. Per Pola era un'estate di passione: l'ennesima in quel lungo periodo di violenza. Ma la città decise che almeno per quella domenica tutto dovesse apparire normale, come se il sangue che scorreva da anni nella terra d'Istria per una mattina non dovesse bagnare la spiaggia di Vergarolla e oscurare la mente dei suoi abitanti, privandoli di una giornata di mare e di libertà. Ma mentre giovani e famiglie accorrevano sull'arenile per assistere alla mitica Coppa Scarioni, gara di nuoto diventata ormai tradizione nella Pola italiana, il sangue cristallino dell'Adriatico si tinse di rosso, come già molte altre parti dell'Istria profonda. Passate le 14, un boato squarcia il cielo di Vergarolla, un fungo si solleva dalla spiaggia e il rumore delle onde e delle voci di tifosi e cittadini si tramutò in un orrendo grido di morte. Una dozzina di ordigni, forse 28, accatastati su un lato della spiaggia si accendono di nuovo e seminano distruzione, falciando la vita di decine e decine di persone. Forse centinaia: il numero non è mai stato accertato.
La guerra ricomparve nella città di Pola come un lampo. La Repubblica italiana era nata da appena due mesi e nessuno pensava che le bombe potessero tornare a esplodere. I militari britannici avevano disinnescato quella massa di mine e siluri lasciandola sulla riva del mare, ma era impossibile che potessero esplodere da sole. Qualcuno aveva innescato quell'ammasso di morte e aveva scatenato l'inferno sulla spiaggia: la guerra era tornata e per Pola nulla sarebbe stato più come prima. Tutti sapevano che il destino della città era segnato, gli italiani temevano che prima o poi la scelta sarebbe stata tra l'esilio nella Penisola o la resa a diventare cittadini jugoslavi. Ma nessuno credeva che la scelta potesse arrivare così repentinamente e bagnata nel sangue di tanti civili innocenti. Purtroppo però la strage segnò un'accelerazione anche nell'esodo dall'ultima grande città istriana ancora italiana.
La strage non ha mai avuto un colpevole. Il comando britannico, che controllava militarmente la città, nella sua inchiesta scriveva che "gli ordigni sono stati deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute". Si arrivò anche a parlare di un incidente, ma tutti a Pola puntarono il dito contro le forze jugoslave e le milizie titine, di cui si temeva l'arrivo in massa nella città italiana. Un attentato in piena regola, quindi: la prima vera strage di innocenti dell'Italia repubblicana. Nel 2008, il Piccolo di Trieste pubblicò una serie di documenti degli archivi alleati in cui sembra prevalere la tesi dell'attentato da parte della Ozna, il temibile servizio segreto jugoslavo, facendo il nome di Giuseppe Kovacich tra gli esecutori materiali della strage. Ma la strage resta ancora senza un colpevole, senza un mandante e soprattutto senza un perché.
Rimangono i morti di quella giornata di sole, i sorrisi spezzati dei ragazzi al mare, la fine nel sangue di una vita e di una cultura. Con la richiesta, che riecheggia ogni anno, di un'inchiesta che faccia definitivamente luce su un eccidio che merita giustizia dopo anni di oblio.
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