«Dài, dimettiti», «No, cacciatemi» Ecco gli ultimi giorni di Ranieri

BUONUSCITA Al tecnico offerta la metà di quanto gli sarebbe spettato. Ieri l’esordio di Ferrara

«Dài, dimettiti», «No, cacciatemi» Ecco gli ultimi giorni di Ranieri

«Ma non ci penso neppure, se volete mandarmi via, fatelo voi, io non mi dimetto», con queste parole Claudio Ranieri liquidò al telefono Jean Claude Blanc, l’ad della Juventus, che gli aveva chiesto di lasciare la squadra dopo il pareggio interno con il Lecce. Martedì 5 maggio. Nel corso del colloquio il dirigente bianconero aveva manifestato le perplessità della società sugli ultimi risultati della Juventus e sulla difficoltà di confermare la fiducia al tecnico. Come dire: «Siamo tutti sotto esame, ma a pagare sarà uno solo». Ranieri, appunto. Secondo una gola profonda Blanc avrebbe proposto all’allenatore una buonuscita ridicola, di poco superiore alla metà di quel che resta del contratto, in scadenza nel giugno 2010. Immaginatevi la risposta. Ma questo è un particolare insignificante. Conta di più sapere che la decisione di cambiare panchina non è dell’altroieri, ma risale ai primi di maggio: si è arrivati poi al dopo Atalanta solo perché la Juve aveva giocato bene a San Siro strappando un pareggio al Milan. Niente vieta di pensare che già in quei giorni l’ad avesse messo in preallarme Ciro Ferrara per fare il salto della quaglia. Il piattino era pronto per essere servito. Altro che scelta improvvisa.
Una decisione comunque a sorpresa perché da 40 anni la Juventus non cambiava allenatore in corsa e perché in Serie A ci sono soltanto tre precedenti a due turni dal traguardo finale. Con Giampiero Boniperti non sarebbe successo. Ma Boniperti non si sarebbe fatto vedere al ristorante con Lippi in un momento così delicato. Fateci caso. La Signora s’è imbruttita proprio dopo la pubblicizzazione di quell’incontro che ha destabilizzato i già precari equilibri dello spogliatoio. I giocatori, capaci di fiutare il vento come gli indiani, hanno subito capito come stavano le cose. Che Ranieri fosse a fine corsa, è diventata una barzelletta.
I comportamenti di Blanc e compagni appaiono da dilettanti allo sbaraglio. Ma c’è da stupirsi? «In società non c’è gente che sa di calcio dopo l’uscita di Tardelli dal consiglio d’amministrazione», è il refrain non solo del popolo bianconero, ma anche degli addetti ai lavori. Si salva il giovane Secco, troppo poco. Di qui le lacrime da coccodrillo nei confronti di Giraudo e Moggi che pure figurano fra i protagonisti di Calciopoli. Sarebbe stato apprezzato l’arrivo di un dirigente della competenza e della serietà di Giuseppe Marotta, attuale ad della Sampdoria. E infatti i contatti ci sono stati, ma sono caduti nel nulla per mancanza di chiarezza nei ruoli e nei compiti. Marotta sta benissimo a Genova e soprattutto va d’accordo con il presidente Garrone che gli ha dato carta bianca «nel rispetto del budget, beninteso». A Torino si sarebbe trovato a mezzo fra l’incudine di Blanc e il martello di Secco. Meglio rimanere a Genova. A meno d’una rivoluzione nell’organigramma. Ma John Elkann, dopo aver messo il timbro sulla cacciata di Ranieri, non intende sminuire la posizione di Blanc che di tutto dovrebbe occuparsi (dalle sponsorizzazioni al merchandising passando per la ricostruzione dello stadio) fuorché di cose tecniche. «Il calcio non s’impara dietro la scrivania, ma sui marciapiedi. E una squadra è forte se è forte la società», ama raccontare Boniperti. Intanto Gian Paolo Montali, ex ct della nazionale italiana di pallavolo, inserito nel cda, studia da direttore generale.
Logico che impazzi il toto allenatore. Premesso che Prandelli ha preferito restare a Firenze per continuare il progetto intrapreso con i Della Valle, sul mercato rimangono Gasperini, Conte e Spalletti. Nell’ordine. Il costo di Spalletti (2,2 milioni netti) è un alibi. In verità il tecnico non è gradito, magari da chi bocciò un anno fa l’arrivo di Stankovic.

«Ma qui ci vorrebbe uno come Hiddink», è il ruggito di chi piange sulla Juventus che nelle ultime 7 partite ha collezionato 5 pareggi e 2 sconfitte con la ciliegina di ben tredici reti al passivo, quasi due a gara. Roba da retrocessione. Tutta colpa di Ranieri, logicamente.

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