Dai ministri ai sindaci Ecco come la sinistra ha fatto deragliare la Tav

Più che in un corridoio, il famoso Corridoio 5 dell’ancora più famosa linea ferroviaria ad alta velocità, la Tav, ci siamo infilati in una strada senza uscita. Dove, nel buio più pesto, rischiamo di perdere la faccia, i denari promessi da Bruxelles e di cominciare i lavori, se mai cominceranno, fra dieci anni. Perché Mario Virano, il presidente che, preso quattro anni fa il timone dell’Osservatorio (l’organismo tecnico che, entro gennaio, deve presentare il progetto della nuova ferrovia), avrebbe dovuto, finalmente, far scattare gli scambi giusti per mettere sui binari della concordia il progetto della Tav, ne ha piene le scatole. L’architetto di sinistra, voluto dalla sinistra e amato, almeno per un po’, dalla sinistra, è sceso dal gran ring dei veti incrociati e ha riportato ieri a Palazzo Chigi (dove Gianni Letta gli ha riconfermato piena fiducia) le sue amarezze per l’ennesimo boicottaggio. Quello messo in atto dal neo-presidente della comunità montana Val Susa-Val Sangone, Sandro Plano (uscito da un surreale accordo tra il Pd della Val Susa e i No Tav), che avant’ieri si è presentato in prefettura a Torino alla riunione dell’Osservatorio con una sola idea in testa: far saltare il tavolo.
«Mi sono appena insediato - ha detto -, non mi sembra che ci siano le condizioni politiche per nominare i quattro nuovi rappresentanti tecnici della Comunità montana, non posso dire se e quando questo avverrà. Quanto ai vecchi tecnici che nei giorni scorsi sono stati confermati da Regione e Provincia non ci rappresentano più». E così Virano, stordito dalle chiacchiere inutili, a conclusione del suo centosedicesimo round, ha detto basta. Sì, 116 incontri per fare sempre e sistematicamente un passo avanti e due indietro. Per valutare e soppesare 91 (esattamente, novanta più uno) sondaggi geognostici prima di poter autorizzare anche solo lo starnuto di una benna. E ora il nuovo, assurdo stallo di un progetto che, a giugno 2008, grazie al gran recupero del governo Berlusconi, sembrava cosa fatta. Un piano che avrebbe potuto e dovuto far fare all’Italia la sua bella figura, perché attraversa l’Europa da Lisbona a Kiev. Abbiamo passato tre anni, anzi quattro, visto che le barricate si sono alzate in Val Susa ai primi di dicembre del 2005, a maneggiare con cura il condizionale. A inghiottire le proteste, con effetto domino dei vari primi e secondi cittadini di turno, e poi dei vari delegati No-Tav che si sono messi sempre e comunque di traverso. Espressione di una sinistra «del territorio» (come appunto la new entry del Pd locale, Plano) che ha puntualmente sconfessato le dichiarazioni d’intenti della sinistra istituzionale. Quella che, quando si trova un microfono sotto la bocca e una telecamera davanti, non esita a fare dichiarazioni roboanti. C’è stato il tempo in cui la governatrice Mercedes Bresso scriveva a Prodi, giocando a fare il muso duro, che «sarebbe davvero un errore pensare di rinviare tutto a un’eventuale nuova legislatura perché il Piemonte e l’Italia hanno bisogno della Torino-Lione e i tempi sono maturi per le decisioni che competono alla politica». E il tempo in cui Prodi, allora capo del governo, lasciava dire al suo ministro di Rifondazione comunista Paolo Ferrero «che la Tav era del tutto inutile», affossando il progetto. Poi la Bresso salì sul carro dei tracciati alternativi tirando fuori la deviazione ad Orbassano e il sindaco di Torino Chiamparino fece finta di strillare contro Ferrero. Come ora strilla il segretario del Pd piemontese, Gianfranco Morgando. Che minaccia l’espulsione di Plano e compagni perché «le ultime scelte del presidente della Comunità Montana e degli altri amministratori del Pd della Valle confermano la loro volontà di procedere in netto contrasto con le indicazioni fornite dal partito a livello provinciale, regionale e nazionale». E la Bresso rituona: «Gli amministratori locali che decidono di partecipare all’Osservatorio devono lavorare sul come non sul se. Perché questa decisione spetta all’Europa, al governo, alla Regione».
Un bel gioco delle parti, no? Tradotto in parole chiare dal capogruppo della Lega alla Camera, Roberto Cota, candidato del Pdl alla presidenza del Piemonte. «La questione Tav non può diventare una continua presa in giro: la presidente della Regione dice oggi di voler fare la Torino-Lione, ma non spiega perché abbia governato per cinque anni con forze politiche che la Tav non l’hanno mai voluta e si sono impegnate a non farla realizzare in futuro.

La Bresso non dice che l’attuale stallo è imputabile in gran parte all’ambiguità sull’opera del governo regionale, che non si è mai speso sull’argomento, anche perché non poteva farlo. Oggi la storia si ripete perché il blocco sull’avanzamento della Torino-Lione e le problematiche all’interno dell’Osservatorio sono azioni portate avanti da esponenti di quel Pd a cui la Bresso appartiene».

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