D'Avanzo, "l'accoltellatore" che non si scusa

Si faccia una domanda e si dia una risposta ripete, ossessivamente da secoli, Gigi Marzullo. C’è un tizio che gli sta facendo una concorrenza serrata, oseremmo dire quasi sleale (perché il copyright è del presentatore notturno della Rai).Il tizio è Giuseppe D’Avanzo, segugio e pistarolo di Repubblica fin dai tempi (erano le Idi di Marzo) della congiura contro Cesare. Orbene, come tutti oramai sappiamo, D’Avanzo non si sente tonico se un giorno sì e l’altro pure non rivolge le sue dieci domande al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma ieri, in verità, si è superato.

Nell’editoriale, in partenza dalla prima pagina, si è messo con disinvoltura a maneggiare «Il coltello del potere» (questo il titolo del suo elaborato) per sostenere più o meno che noi del Giornale, direttore Feltri in testa, ovviamente, stiamo ammazzando tutto e tutti. Peccato. Sì, peccato, perché se anche i segugi d’antan hanno la memoria corta chissà dove andremo finire. Proprio lui non si ricorda, quanti ne ha ammazzati maneggiando la penna come un coltello, incespicando in bufale varie, prendendo cantonate, arrampicandosi sugli specchi di ricostruzioni improbabili e di dietrologie infanganti.

Vediamo di rinfrescargli la memoria con un antipastino. Qualche anno fa, facciamo sei, D’Avanzo insieme con l’amicone Bolzoni seminò fiumi di veleno che concentrò poi in un libro («La giustizia è Cosa nostra») contro Corrado Carnevale, il presidente di Cassazione messo sotto inchiesta, per concorso esterno in un affare di mafia, da Gian Carlo Caselli. Carnevale fu assolto con formula piena e il libro del grande scoop venne messo un po’ più in basso, negli scaffali delle bufale. Scuse a Carnevale? Macché.

E la vicenda Rostagno? Un fulgido esempio di accoltellamento giornalistico. Partiamo dalla fine, ovvero dal fatto che due procuratori palermitani, Antonio Ingroia e Gaetano Paci, hanno accertato, in base a una incontrovertibile perizia balistica, che Mauro Rostagno - anche lui al centro di un libro scritto da D’Avanzo e Bolzoni - fu assassinato, ventun anni fa a Trapani, dalla mafia. Dal boss Vincenzo Virga e dal killer Vito Mazzara. Le conclusioni dell’inchiesta Ingroia dimostrano che il 26 settembre del 1988 le famiglie trapanesi decisero di uccidere Rostagno, sociologo, ex di Lotta continua, perché, lavorando in una tv privata, ficcava il naso nei loro sporchi affari. L’epilogo è importante per capire meglio «l’accoltellamento» di D’Avanzo, deciso a sposare in pieno la tesi di Gianfranco Garofalo, un pm scettico sulla pista mafiosa, che firmò un ordine di cattura contro Chicca Roveri, compagna di Mauro, contro Francesco Cardella e contro una decina di ospiti di Saman, una vecchia masseria, che Cardella aveva trasformato in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Rostagno, secondo la tesi di Garofalo, era stato assassinato, con la complicità di Chicca, dai suoi ex amici di Lotta continua per impedire che lui potesse fare clamorose rivelazioni al processo contro Adriano Sofri e i presunti assassini del commissario Calabresi. Una clamorosa bufala com’è stato dimostrato, costata alla Roveri e agli altri un mese e passa di galera. Ma soprattutto un’infamia sulla quale D’Avanzo e Bolzoni imbastirono un instant book dal simpatico titolo di cui vergognarsi «Rostagno, un delitto in famiglia». Scuse di D’Avanzo alla Cardella e ai suoi altri bersagli? Macché.

E che dire della sua grande «interpretazione» della strage (giusto un anno fa) di Castelvoturno? Prefigurò una probabile matrice non criminale ma razzista dietro al fatto che gli ammazzati non fossero nigeriani bensì sei «ghanesi innocenti». Salvo poi scoprire che i ghanesi erano tre, oltre a due liberiani, un togolese e soprattutto un camorrista dei Casalesi (principale bersaglio e movente della strage). In quell’occasione arrivò persino a chiosare: «Quel che accade lungo la costa domizia è una vendetta della realtà contro le semplificazioni del governo». Fantastico. Manca lo spazio ma non mancano gli argomenti per ricordare certi altri «accoltellamenti» di D’Avanzo. Nel 1989 puntò il dito contro Alberto Di Pisa, il giudice accusato di essere il «corvo» che aveva voluto sporcare l’Antimafia e lo definì «un uomo sbriciolato dall’invidia e precipitato nel gorgo di un risentito rancore». Fu assolto, Di Pisa.

Concludiamo con un sorriso: la finta intervista del

Times alla mamma di Noemi (in cui le hanno fatto dire: Berlusconi faccia per mia figlia ciò che non ha fatto per me) riproposta da D’Avanzo come oro colato ai lettori di Repubblica. Che hanno bisogno di un po’di buonumore

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