Un diario in pubblico alla faccia della perfezione

Con una scrittura quasi disarticolata, disinibita si può raccontare tutto e il contrario di tutto. Il problema, poi, è compattare, rendere coerente ciò che s’è scritto. E, nel caso migliore, può uscirne un libro cui è delegato il compito di «mediare», rappresentare l’intento creativo di un autore ansioso di far partecipi altri delle sue idee.
L’approccio a un testo genericamente apparentabile a simile caratteristica è verificabile, ad esempio, col libro L’ambiguità della perfezione di Adriano De Carlo (Anima Edizioni, pagg. 214, euro 17,90), sia perché ricorrono in esso i dati funzionali ricordati; sia perché l’informale ordito narrativo imprime un tono altalenante tra corriva colloquialità e ostentato moralismo. Nell’Ambiguità della perfezione si ragiona dei massimi come degli infimi sistemi. Non c’è discrimine di sorta, poi, dalla trattazione colta, circostanziata di temi, emozioni, tutti contigui, ravvicinatissimi alla perlustrazione svagata di fatti, minuzie contingenti, quotidianamente molesti, ma irrilevanti, quindi tollerabili. A rigore, il titolo, ovvero «La perfezione dell’ambiguità». Adriano De Carlo con la sua scrittura discontinua, «indigente» forse riesce a toccare, seppure suo malgrado, l’acme di una «ambiguità perfetta» o, se si vuole, di una «perfezione ambigua».
Detto ciò, un merito accertato di un testo atipico e composito come questo - una silloge frammentata di riflessioni e brani di varia moralità - risalta proprio negli input che l’intiera opera produce suggerendo strenui ripensamenti, attualissimi richiami alla condizione esistenziale contemporanea. Inoltre, il fatto stesso che le inquietudini, i rovelli trovino qui una loro misura rimanda d’immediato riflesso ad altre intuizioni che, variabilmente, spiegano in parte determinate emergenze psicologiche e comportamentali. Tutto ciò col vistoso rischio che quando i ricorrenti segnali d’incombenti paure e spiazzamenti ci espongono a pressioni soverchianti, ci si senta davvero «invasi», «sommersi», senza possibile riscatto di sorta.
L’ambiguità della perfezione è un «diario in pubblico» senza rispetti, né inibizioni. Giusto per dare atto, testimoniare che torti e diritti, soperchierie e buone cose vanno di pari passo. E che, per quanto facciamo, pensiamo, diciamo tali stesse questioni sono destinate, nostro malgrado, a perpetuarsi.

In genere, va detto, queste riflessioni ce le teniamo dentro, ben coscienti dell’inanità di esprimerle coram populo. De Carlo, più ardimentoso o più temerario, ha scelto di esternare in proposito tutto e il contrario di tutto. Ambiguamente, appunto.

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