Il dibattito: ora la tecnologia spaventa il mondo

A parlarne apertamente ieri è stato il Papa, accennando alle recenti catastrofi e ai nostri limiti. Ma dal web all’atomo, sono tanti gli aspetti del progresso scientifico su cui ci si interroga. Con la sensazione che l’uomo non sia più il padrone

Il dibattito: ora la tecnologia spaventa il mondo

Stiamo cercando di farcene un’idea dai tempi del liceo, quando ci proponevano il tema sul famoso dilemma «la scienza è buona o cattiva?». Poi, improvvisamente, in una domenica d’aprile il piccolo gigante Papa Ratzinger chiarisce a modo suo la questione. Nella giornata delle Palme, davanti a centomila amici che festeggiano il suo compleanno cantando «tanti auguri a te», così il pontefice parla al mondo: con il progresso e la tecnica è cresciuto il bene, possiamo volare e parlarci da un capo all’altro del pianeta, siamo quasi spinti a crederci Dio, ma i nostri limiti restano, come dimostrano le catastrofi che negli ultimi mesi affliggono l’umanità...

Questo ed altro, ovviamente. Il Papa parla della nostra inarrivabile superbia e della nostra meschinissima fragilità, tutto così perfettamente esplicitato nel morboso rapporto con la scienza. Siamo così progrediti da pensare che l’era tecnologica batterà le malattie, la fame, l’inquinamento, la penuria di petrolio, ma poi basta un terremoto per farci ripensare tutto quanto, persino l’affascinante e inarrestabile corsa nucleare. Dopo le euforie dei successi, adesso è il tempo delle paure e degli smarrimenti. Dalla cieca fiducia nella tecnologia che ci siamo costruiti con Internet siamo passati al dubbio profondo sull’effettiva utilità di tante conquiste. Ci interroghiamo sul quanto e sul come la frenetica corsa debba andare avanti. Pentimenti e ripensamenti. Ma quant’è bello e suggestivo Facebook, che costruisce la grande rete dell’amicizia globale, ma quant’è triste e alienante Facebook, che riduce i nostri giovani - e non solo loro - a meduse incapaci di emozioni, rapporti, sentimenti.

Possiamo dirlo con un certo sollievo: meno male che ci siamo presi una pausa di riflessione. Con il Papa, pure un ministro economico come Tremonti non si stanca di sollevare ovunque gli interrogativi migliori, che sono poi i dubbi su una scienza e su un progresso fini a se stessi, votati solo al profitto, insensibili alle conseguenze sul destino degli uomini.

Non è il caso, come nei temi liceali, di schierarsi con la visione manichea del pro e del contro. Se c’è una cosa che possiamo imparare lasciando il liceo è proprio la relatività di tante certezze. «Progresso sì - progresso no» è un bipolarismo stupido e vuoto, che dovremmo accuratamente evitare. Come dice il buon Papa, ma come dice anche il buon padre di famiglia, la risposta è «Progresso sì, quanto serve e quanto basta». L’abbiamo già scritto nei temi di allora: non esiste scienza buona e scienza cattiva, esiste l’uomo che la usa bene o la usa male.

Il computer, il cellulare, la televisione, con tutto il corollario di social-network e di sapere pret-a-porter, rappresentano un sistema impareggiabile di avanzamento. Ma il pericolo non sta dentro questi strumenti: sta tutto in chi li usa. Benedetto XVI parla di manifesta impotenza, di noialtri semidei, davanti alle forze della natura. Di vanità castigata. Ma ci sono altre calamità pronte a umiliarci e svilirci, calamità più striscianti e più sottili, che non lasciano scie di sangue e di lutto, ma una terribile atmosfera di gelo. Molti genitori, molti insegnanti hanno già lanciato l’allarme: la peggiore di tutte le calamità è la sottomissione incondizionata a questi nuovi idoli tecnologici, che stanno lasciando tracce nefaste sulla creatura uomo. Soprattutto nel pianeta giovanile. Stiamo assistendo a una lenta trasformazione antropologica dell’individuo ragazzo. Vediamo all’opera impareggiabili maneggiatori di sistemi complessi, certamente li invidiamo per quanto sono sciolti nell’utilizzo dei nuovi mezzi informatici. Ma allo stesso tempo appare evidentissimo il deficit di padronanza, di capacità critica, di vero controllo su questi stessi strumenti. Nella quotidiana dialettica tra ragazzo e computer, è sempre più netta la sensazione che il padrone non sia l’individuo umano. E questa, come lo tsunami, è calamità vera.

Spazza via le intelligenze, le curiosità, le capacità di elaborazione, il gusto della scelta, in sostanza quell’impagabile progresso umano, il più progresso di qualunque progresso, che è usare la propria testa. I danni di un terremoto, in un certo tempo, si possono rimediare. Non esiste un tempo adeguato per ricostruire certe anime spente.

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