Diciotto anni di carcere al killer di don Santoro

La madre: «Mio figlio va in carcere per Allah». E il fratello se la prende con i «cani americani»

Ouzhan Akdil, l’assassino di Don Andrea Santoro, è stato condannato a 18 anni e tre mesi di carcere. Lui di anni ne ha appena 16. Sono passati otto mesi da quella fredda domenica del 5 febbraio, quando il killer entrò nella Chiesa di Santa Maria a Trebisonda, città turca sulla costa est del Mar Nero, e uccise quel prete indifeso che stava pregando prima di celebrare la messa. Per farlo usò una pistola calibro 9 che apparteneva al padre e sparò alla schiena del religioso, colpendolo due volte, e urlò «Allah Akhbar», Allah è grande. Un gesto carico d’ira, suscitato, come confessò Ouzhan alla polizia dopo il suo arresto, dall’ondata di odio scatenata nel mondo islamico per la pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto in un giornale danese.
Il tribunale di Trabzon, presieduto dal giudice Kaya Gulec, ha ritenuto il ragazzo colpevole per tutti i capi di accusa che gli erano stati mossi. Nello specifico, Ouzhan sconterà 16 anni e otto mesi di carcere per omicidio premeditato, un anno e un mese per detenzione illegale di armi e un anno e un mese per minaccia della sicurezza pubblica. Anche se molti giornali turchi hanno definito la pena «pesante», il giovane killer può ritenersi fortunato. L’accusa aveva chiesto 30 anni di carcere e, nel stabilire la pena, il collegio giudicante ha tenuto conto di tutte le attenuanti presentate dalla difesa, per primi i problemi psicologici di cui soffriva il ragazzo.
La sentenza è stata emessa ieri mattina a Trebisonda. L’imputato è arrivato verso le 9. Indossava un completo scuro e una camicia bianca. Per cercare di sottrarlo alla ressa di fotografi e giornalisti lo hanno fatto entrare da un ingresso secondario. Con lui c’era il suo avvocato, la giovanissima Maya Usta, di appena 22 anni, che, subito dopo il verdetto, ha dichiarato di aver previsto una sentenza del genere e che ricorrerà in appello. La famiglia dell’imputato ha atteso in disparte. Il padre, la madre e il fratello maggiore del «küçük Agca» (il piccolo Agca, come la stampa turca ha soprannominato l’assassino) sono arrivati al palazzo di Giustizia a piedi, in mezzo a uno stuolo di telecamere, senza dire una parola. Ben diversa la reazione al momento della sentenza. Necmiye Akdil, madre di Ouzhan, che indossa il türban (il velo islamico della tradizione turca) e milita nel partito del premier Erdogan, fra urla e lacrime, ha esclamato: «Mio figlio ha 16 anni. Lo Stato ha permesso che vada in prigione. Mio figlio va in galera per Allah». Ancora più duro il fratello Ali, che ha detto: «Mio fratello andrà in prigione. Ci sono i cani degli Stati Uniti. Lui invece è un servo di Allah. Ma come si fa a condannare un ragazzo di 16 anni a 18 anni di carcere?». L’unico ad aver mostrato più dolore che rabbia è stato il padre del ragazzo, Hikmet Akdil, che ha seguito con gli occhi pieni di lacrime il camion che riportava il figlio in carcere.
Il processo è chiuso ma rimangono ancora molte domande, che forse non troveranno risposta.

Prima fra tutte è se Ouzhan abbia agito da solo o dietro la spinta di qualche gruppo nazionalista, come per esempio i Bozkurtlar, i Lupi Grigi, gli stessi di cui faceva parte Ali Agca. Oppure se sia stato istruito da un «maestro», un fanatico religioso che lo ha convinto a uccidere nel nome di Allah, e che Ouzan, secondo alcuni testi, incontrava in un internet point nel centro di Trebisonda.

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