Direitinho, crimini e misfatti nel Portogallo insanguinato

«L’orologio degli angeli»: atmosfere cupe in bello stile

Poco si sa della tribolata storia del Portogallo negli anni seguenti il tracollo dell’impero napoleonico. E, in ispecie, del periodo tra il 1822 e il 1834 che vide lo scontro fratricida del dispotico Don Miguel (monarca assoluto a Oporto) con Don Pedro (già imperatore del Brasile e leader incontrastato del movimento liberale lusitano). Fu una stagione terribile, con massacri e orrori, che contribuì a fiaccare la declinante sorte civile, economica, culturale del Portogallo, e segnò anche l’avvio dell’inesorabile disgregazione degli sconfinati territori coloniali in Asia, Africa, America Latina.
In tale contesto è ambientata la storia tetra, truculenta, sanguinosissima di L’orologio degli angeli del poco più che quarantenne scrittore di Lisbona José Rico Direitinho (Cavallo di Ferro, pagg. 160, euro 14) già autore del Breviario degli istinti malvagi (Einaudi). Provvisto della prestigiosa malleveria del Premio Nobel compatriota José Saramago, questo stesso autore ha riscosso già significativi riconoscimenti come i premi Cidade de Lisboa e Eça de Queirós. Non bastasse tanto, i commenti critici hanno avuto, specie in Germania e in Spagna, toni risolutamente lusinghieri: «Uno straordinario, fastoso corteo tra sogno e realtà; una meravigliosa lettura tra l’idillio e l’inferno»; «José Rico Direitinho ha aperto la strada a una nuova corrente, decisamente rinnovatrice, nella letteratura portoghese». In effetti, facendo la debita tara a certi giudizi un po’ troppo enfatici sul conto di Direitinho in generale e sul romanzo in particolare, bisogna ammettere che questa sua recente fatica letteraria offre il destro per un’incursione tutta informale nelle tragiche vicende storico-politiche del Portogallo del primo Ottocento. Paese già funestato fin dal medioevo da traversie inenarrabili delle classi popolari oppresse da governanti e potenti spietati, l’estremo lembo occidentale della Penisola iberica conosce le atrocità, i misfatti d’una guerra civile insensata, mentre anche ogni destino individuale naufraga, muore tra inascoltati «sussurri e grida».
In particolare la traccia narrativa corre parallela e cruentissima sul filo delle concomitanti dissipazioni esistenziali e morali dello sfortunato possidente Afonso Aires de Navarra e del mercenario proletario Antonio do Soutelinho che, soltanto nello scorcio finale dell’evocazione narrativa, trovano desolante approdo, l’uno in un orribile suicidio, l’altro nell’inutile vagheggiamento d’una vendetta ormai impossibile.

Sostanziato da un impianto tematico di cupo spessore e da una scrittura altalenante tra bagliori e clangori sempre rovinosi, L’orologio degli angeli si condensa in estrema sintesi in una lettura certamente inamena, ma anche di originale, incisiva efficacia drammatica.

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