Il dolore e l'amore per la madre perduta

Crocifisso Dentello è autore, tra le altre cose, di "Tuamore", romanzo-memoir dedicato alla morte della madre, edito da La nave di Teseo

A scanso di equivoci, per mettere subito le cose in chiaro ed evitare che si facciano troppi pettegolezzi, la confessione di incesto con l'aggravante edipica compare a pagina quattro: «Avevi vent'anni quando mi hai messo al mondo. Ero già al tuo matrimonio, a tirarti calci in pancia. Non ti ho forse sposato anch'io, non sono forse salito sull'altare con te in un patto d'amore finché morte non ci ha separato? Sono un vedovo, proprio come papà, perché sei stata l'unica donna della mia vita».

Dopo la stagione dei romanzi dedicati alla perdita del padre, tra i quali alcuni pregevoli (Albinati e Magrelli, per fare due nomi) tocca a Crocifisso Dentello inaugurare la linea materna con un gran libro: perché una donna come la «sua» Melina non capita di incontrarla tutti i giorni. Bella in gioventù come la Cardinale, spesso sboccata («Fai tanto l'intellettuale ma non sai un cazzo!») nonché appassionata di telenovelas («Ho buttato un anno dietro a questa poveretta e ora mi vuoi togliere la gioia di vederla finalmente col velo bianco?» apostrofa il marito che vorrebbe cambiare canale), Melina nasce a Gela nel 1958 per poi emigrare a Milano con il resto della famiglia. Dotata di un'allegria espansiva e inesauribile, si ritroverà fra i piedi quattro nipoti e tre figli, fra i quali il primogenito che degnamente la celebra nelle pagine di Tuamore (La nave di Teseo). Un figlio scrittore e per giunta misantropo: «Quando ho compreso che non potevo appartenere alla realtà mi sono calato con una fune dentro un pozzo di carta»; un figlio così nevrotico da passare il capodanno del Duemila dentro una cabina delle fototessere in piazza Castello. Gioca molto, Dentello, a disegnarsi con i tratti del freak, ma attenti a pensare a una forma di narcisismo con il segno cambiato: il poeta vero, si sa, finge che è dolore il dolore che davvero sente e questo sopratutto ai piedi della Madonnina, dove le madri di letterati problematici, da Manzoni a Gadda, formano una categoria a se stante, materia pregiata per lo studio dello psicanalista. E in ogni caso, credete sia facile crescere circondati dalla curiosità di sospettosi parenti? «Quando ci ritroviamo a casa dei nonni, certe domeniche con le zie sedute a semicerchio, fioccano battutine allusive. Ma Crocifisso una fidanzatina ancora niente? Ma Crocifisso il sabato sera cosa fa: si guarda Pippo Baudo con te sul divano?». La madre allarga le braccia: «Spero sempre che accetti caramelle dagli sconosciuti, chissà mai che si fa un amico». Fra madre e figlio la differenza di carattere non potrebbe essere più netta: lui fobico, lei capace di attaccare bottone con gli sconosciuti nella sala di attesa del dentista; lei la quinta elementare, lui a discettare di Dostoevskij sotto affreschi del Seicento. Eppure il legame è talmente totalizzante che quando Melina si ammala e muore, la tragedia è così grande che gli altri faticano a comprenderla. La vicenda è familiare e domestica, ma radicata in una città e stagliata in un'epoca: «Negli anni eroici del totocalcio, capitava di accompagnarti in certi bar-tabacchi e prenderti per la manica per spingerti fuori dopo aver bevuto il caffè.

Ti piacevano quei locali scalcagnati con la segatura sul pavimento, il biliardo col panno bruciacchiato, i bianchini serviti in bicchieri opachi». Melina, insomma, come sineddoche di un mondo sparito per un altro genere di cancro, che qualcuno chiama contemporaneità.

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