Draghi: "Alle banche servono 350 miliardi"

Allarme del governatore di Bankitalia all'Ecofin: "Nei prossimi mesi le perdite aumenteranno, ma alcuni istituti faticheranno a raccogliere capitali". Almunia e Juncker: "L'Ue non è in recessione". Petrolio sotto i 100 dollari. Bei, oggi la proposta di Tremonti

Draghi: "Alle banche 
servono 350 miliardi"

Milano - Fabrizio Ravoni nostro inviato a Nizza La crisi economica mondiale continua. Anzi, peggiora. E l'Europa non ha armi o strumenti per frenarla. «Siamo nel limbo», confidano uomini di Bruxelles all'Ecofin informale di Nizza. Ma il quadro di quanto sia profonda la crisi arriva da Mario Draghi. Nella sua veste di presidente del Financial Stability Forum, il governatore della Banca d'Italia ricorda all'Ecofin che le banche (a livello globale) hanno finora perso 500 miliardi di dollari. Di questi, solo 350 miliardi sono stati coperti da nuovo capitale. Non è finita. Nei prossimi mesi - prosegue Draghi - le perdite del settore bancario nel suo complesso inizieranno a crescere; e le banche stanno affrontando questo momento con bilanci più deboli (seppure ancora sopra il livello di copertura della vigilanza). Per fronteggiare la nuova situazione, il governatore stima che a livello globale le banche dovranno raccogliere almeno altri 350 miliardi di dollari. Obbiettivo che, secondo Draghi, alcune banche faranno fatica a raggiungere.

Insomma, il caso della Lehman Brothers rischia di non essere isolato. Con effetti a catena sull'intero pianeta finanziario globale. E l'Europa? A Nizza i ministri economici e finanziari dei 27 Paesi dell'Unione hanno chiare le dimensioni della crisi. A porte chiuse (e favoriti dallo status di questo Ecofin: l'informalità permette di affrontare argomenti difficili, senza necessariamente adottare decisioni) si confessano che nessuno può prevedere quando finirà la crisi e quanto sarà ancora profonda, malgrado il calo dei prezzi del petrolio (sotto i 100 dollari il barile ieri a New York) aiuti a stemperare un po’ i timori. «Siamo preoccupati, anche se l’Europa non è in recessione», ripetono Joaquin Almunia e Jean-Claude Juncker, rispettivamente commissario Ue agli Affari economici e Mister euro. «Per fronteggiare la crisi, i Paesi europei possono soltanto applicare fino in fondo l'elasticità concessa dal Patto di stabilità e di crescita». In altre parole - dice Juncker - possono utilizzare i loro bilanci «per tamponare e contenere la perdita di acquisto» delle fasce meno fortunate della popolazione. Traduzione: pur cercando di rispettare l'obbiettivo del risanamento dei conti pubblici, la crisi è talmente grave che possono ricorrere agli spazi offerti dal Patto per attutire la crisi. Il Patto di stabilità e di crescita prevede che, in fase di congiuntura positiva, gli Stati membri rafforzino le misure di riduzione del deficit.

Specularmente, in casi di congiuntura negativa, possono allentare la morsa del risanamento. E questa congiuntura non solo è negativa; ma il peggio - come dice Draghi - deve ancora venire. Al punto che lo stesso Trichet offre una spiegazione della politica monetaria seguita dalla Banca centrale europea. «La stabilizzazione dei prezzi - osserva - è necessaria per controllare l'inflazione. Vale a dire - aggiunge - per difendere il potere d'acquisto per gli abitanti europei più poveri». Ribadendo così una chiave di interpretazione già indicata nel bollettino. Ma la sensazione è quella che gli organismi europei (Bce e Mister euro) abbiano sospeso l'ortodossia del risanamento sull'altare della real-politik. Real politik data dalla crisi. E non è l'unico segnale che arriva dall'Ecofin di Nizza. Il secondo è dato dalla presenza al vertice di alcuni banchieri privati, tra cui Alessandro Profumo di Unicredit. È la seconda volta nella storia dell'Ecofin che i banchieri privati vengono ammessi a riunioni del genere. Il precedente avvenne quattro anni fa a Scheveninghen, durante la presidenza olandese. E anche all'epoca, la crescita europea viaggiava intorno all'1%.

Oggi Giulio Tremonti illustrerà all'Ecofin la sua proposta di trasformare la Banca europea per gli investimenti (Bei) in un attore finanziario per lo sviluppo europeo. Un modello che piace al presidente di turno (Lagarde) e a Juncker. Una soluzione che potrebbe rappresentare una risposta alla crisi.

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