A due passi dal centro vita da clandestini tra macerie e spazzatura

In via Pompeo Leoni capannoni dismessi e antiche palazzine occupate: tra gli «inquilini» anche rom transfughi di via Triboniano

Quattro passi nelle favelas milanesi, nel cuore della città. Ma non pensate alle baraccopoli di Calcutta. Nei 13mila metri quadrati abbandonati in via Pompeo Leoni la povertà non fa rima con dignità. È la terra-bivacco di un esercito di clandestini che da un paio d’anni ha trasformato in immondezzaio gli ampi capannoni industriali (sei in tutto) e le due palazzine anni Trenta, un tempo sede dell’acquario. Lo slalom fra i rifiuti è da voltastomaco, un crescendo da quando, nel 2005, è cessata la ristrutturazione prevista su carta. Amsa non ha mai pulito perché qui non risiede nessuno. Men che meno i poveracci, di varie etnie, preoccupati solo di sfruttare l’area per il proprio tornaconto. Chi la corrente, chi l’acqua, chi addirittura il telefono (evidente dall’intreccio dei cavi che scorre lungo la ferrovia) chi il «comfort» delle palazzine storiche, abbattendo la porta e mettendo un personale lucchetto. Non siamo in periferia ma a cinque minuti a piedi dall’università Bocconi e di fronte allo Ied, l’istituto europeo del design. Da una parte svettano le torri residenziali costruite dall’architetto Massimiliano Fuksas e gli appartamenti signorili delle corti Benati (venduti a seimila euro al metro quadrato) dall’altra c’è una terra da saccheggiare e insozzare. Che da un mese in qua, da quando è sorto il nuovo campo rom di via Triboniano, è ancor più popolata. Facile immaginare che i nomadi che si sono rifiutati di sottoscrivere il famoso «patto di legalità» abbiano trovato qui la residenza ideale, indisturbata soprattutto. «Ormai ci sono roulotte e tende ovunque - denunciano i residenti sempre più preoccupati della situazione igienica - Con il primo caldo scoppierà un’epidemia». L’odore in effetti è insopportabile, nonostante la maggior parte dei rifiuti sia una montagna a cielo aperto. Vicino a una vecchia pompa per la benzina - l’area era un tempo l’autoparco comunale - cinque o sei fusti sigillati abbandonati, «non siamo mai riusciti a capire cosa ci sia dentro - spiegano gli abitanti dalle finestre vicine - l’estate scorsa si sono gonfiati come botti, pensavamo che contenessero dei rifiuti tossici, abbiamo scritto al Comune, all’Asl ma, sono passati i mesi e tutto è come prima». C’è chi racconta di aver visto dei bambini rom dormire nei capannoni, chi riferisce di quella notte «quando scoppiò un incendio e i pompieri non poterono entrare con l’autopompa perché sono state rubate perfino le lastre in ferro dei tombini e un mezzo con queste voragini nel terreno si incaglia». Ma l’incendio come è stato spento? «Grazie a un filo d’acqua che scendeva continuamente dal condotto idrico (e che da un mese è stato chiuso) e grazie alle nostre secchiate, siamo scesi in strada ad aiutare i pompieri». Ma i residenti raccontano anche di aggressioni e minacce.

«Al tramonto non si può più passare di là - una mamma con passeggino indica il sottopassaggio della via Pompeo Leoni da poco oggetto di lavori di ristrutturazione - i clandestini scavalcano le grate (che separano la strada dall’area dismessa) e ti si piazzano davanti all’improvviso. Molte studentesse dello Ied sono state rapinate e minacciate».

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