Cose che la sinistra infatuata di se stessa odia. Le auto. Soprattutto non elettriche. Ma anche elettriche. I parcheggi. L'aereo (quando lo prendono gli altri). Il turismo (loro «viaggiano»). I tappi. E la carne.
Cosa c'entra? Nulla.
Però ieri leggendo Vanity Fair, l'unico magazine capace di coniugare l'afflato pauperistico per lo stile-Berlinguer di Elio Germano con la pubblicità degli stivali di Valentino Garavani, abbiamo scoperto che l'abbigliamento più trendy è il maglione confezionato con lana di montone gay. Proprio così: gay. È la nuova frontiera del fenomeno woke, una strana malattia che crede di essere la cura.
In ogni caso. Si chiama «Rainbow Wool», ed è la prima collezione di moda al mondo realizzata con lana di montoni omosessuali, provenienti da una fattoria di Löhne, in Nord Reno-Westfalia. Ora. Non vogliamo sapere come si distingue un montone etero da uno omo (dicono si tratti di ovini che non vogliono riprodursi...), e non discutiamo le buone intenzioni (favorire l'accettazione della comunità Lgbt nel mondo). Ci chiediamo però: c'è differenza fra montoni gay attivi e passivi? E se io critico l'idea, sono montono-fobo? E i castrati? Ma poi: «montone gay» non è un ossimoro?
Comunque, non abbiamo dubbi che la cosa avrà successo nei
salottini della sinistra fru fru, facoltosa e arcobaleno. «Ma che mevaviglia di maglione, cava! Ma che lana è? Di una pecora escovt? O di un montone gay?». «Non essere volgave. Si dice asexual».E poi tutti al Montone Pride.
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