E i parenti africani di Barack sono sfiniti: «Troppa celebrità»

Fare i Kennedy in Africa, che fatica! Soprattutto se sei più un esercito che una famiglia. A Koogama e Kobelo i due villaggi dove vivono, separati da oltre cento chilometri, i 600 parenti o presunti tali del clan africano d’Obama l’hanno capito tutti. La celebrità costa e pretende. Ne sa qualcosa Said Obama, lo zio d’Africa del Presidente costretto a destreggiarsi tra la file di petulanti riuniti davanti alla casa di famiglia di Koogama. «Fare i conti con loro è come un lavoro a tempo pieno», sospira mentre si fa largo tra la folla convinta di potergli strappare un visto Usa, una borsa di studio, un lavoro o del denaro. A lui, però, è successo. Dopo aver cercato per anni lavoro è stato assunto nell’azienda controllata dalla famiglia del primo ministro. Il nome Obama, riconosce, «ora apre molte porte». Lo sa bene persino l’86enne «nonnastra» Sarah Onyango. Da quando il nipote americano è il primo cittadino del mondo lei è una rockstar e le tivù fanno la fila per riprenderla mentre tira il collo alle galline nel cortile di casa o corre al mercato esibendo variopinti foulard. Per lei il gran giorno sarà quello del giuramento del nipotino quando, promette, s’infilerà alla Casa Bianca per spadellare «chapati» alla vecchia maniera. Peccato che dopo quel fatidico impegno chiunque gli si attacchi alla gonna pur di volare oltreoceano assieme a lei.
Giocare ai nuovi Kennedy qualche privilegio lo concede. Come per magia le condutture elettriche invocate per due decenni hanno fatto slalom tra la foresta e i villaggi del circondario, hanno saltato le case dei vicini e hanno raggiunto il contatore nuovo di zecca degli Obama. L’acqua non arriva ancora, ma è questione di tempo. Il vero mal di pancia da Koogama a Kobelo, da Nairobi a Washington si chiama sicurezza. Il Servizio Segreto negli Stati Uniti si preoccupa solo della protezione dei familiari più stretti del presidente. Ma quelli di solito stanno in America. In questo caso ci sono almeno una decina di parenti «riconosciuti» abbandonati in uno sperduto villaggio d’Africa. «Non verremo trattati diversamente», ripete la sorellastra Auma Obama, ma all’ambasciata Usa di Nairobi molti si chiedono cosa succederebbe se uno di loro venisse rapito. Si potrebbe ignorarlo, infischiarsene, dimenticarsene con stampa e Tv in circolazione? E neppure le tende con agenti in divisa erette davanti a casa di nonna Sarah sono una gran sicurezza visti i precedenti di una polizia capace di arrestare e rilasciare senza riconoscerlo Fazul Abdul Mohammed, un terrorista di Al Qaida ricercato per la strage all’ambasciata di Nairobi. Poi ci sono gli approfittatori.

Come il mezzo fratello di uno slum di Nairobi uscito con un’intervista sulla sua vita di squattrinato o Malik Obama il mezzo fratello più anziano che dopo le elezioni dispensa interviste in cambio di generosi contributi alla nuova «Barack Obama Foundation».

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