E tra i serbi sale la rabbia Assalto ai posti di confine

Stefano Giantin

da Jarinie

La colonna di fumo nero si nota chilometri prima, oltre le colline. La striscia d’asfalto ci porta come un serpente verso il confine di Jarinie fra il Kosovo e la Serbia. Dopo l’ultimo tornante il posto di frontiera, nome in codice Gate 1, non esiste più. I serbi lo hanno attaccato e fatto a pezzi a colpi di molotov. La polizia del Kosovo indipendente è stata costretta a rifugiarsi in un tunnel. Poi gli agenti sono stati fatti sgomberare con un elicottero. Le fiamme ancora scavano i container bianchi dell’Onu, che servivano da ufficio doganale. Una dozzina di macchine delle varie missioni internazionali sono abbrustolite.
Una cinquantina di giovani serbi della zona stappano bottiglie di birra, gioiscono e si fanno fotografare davanti ai resti del posto di confine. Fra loro i soliti nerboruti giunti probabilmente dalla Serbia, che assomigliano più a poliziotti o militari che a hooligan locali. Nella scarpata sottostante hanno lanciato con le ruspe container e mezzi dell’Onu.
Gli assalti sono iniziati verso le dieci di ieri mattina ed erano ben preparati. Serbi giunti da sud, dalla roccaforte di Mitrovica ed altri piombati dalle madrepatria hanno polverizzato due posti di confine nel nord del Kosovo. Il significato simbolico è che la parte settentrionale dello stato neoindipendente, abitato da 50mila serbi, fa parte del territorio di Belgrado. Se la sono vista brutta anche le truppe francesi della Nato. La colonna ribelle di circa 400 serbi non si è fatta fermare a Serbovac sulla strada per Mitrovica. I soldati della Nato avevano eretto una barriera di terra in mezzo alla strada. Una ruspa con una grande bandiera serba l’ha travolta e i francesi hanno preferito ritirarsi. Su una macchina della colonna ribelle c’erano anche quattro agenti serbi della polizia kosovara, che evidentemente non rispondono più a Pristina. Circolano voci che nelle prossime ore tutti gli agenti serbi diserteranno.
A coordinare la colonna c’era una vecchia conoscenza delle battaglie sul ponte di Mitrovica, che divide la città fra serbi e albanesi. Alto, muscoloso, con la mascella squadrata viene chiamato da tutti Pagi. Il suo vero nome è Slavogub Jovic, fratello di Nebojsa Jovic. Quest’ultimo coordina l’apparato di sicurezza del Consiglio nazionale serbo, una sorta di autogoverno di Mitrovica. Segnale che gli incidenti erano organizzati con il tacito appoggio di Belgrado. La colonna di rivoltosi serbi è entrata alla spicciolata a Mitrovica dove un migliaio di studenti ha organizzato un corteo di protesta contro l’indipendenza. Tutto è filato liscio, ma la parte serba della città rimane presidiata ad ogni angolo dalle truppe francesi.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci pensa Andrej Milic, il “generale” della “Guardia di zar Lazar”. Il fantomatico gruppo paramilitare prende il nome dal re serbo ucciso nel 1389 in Kosovo durante la famosa battaglia contro i turchi. «Gli attacchi ai posti di confine sono solo l’inizio. A Mitrovica useremo i fucili. Non ci fermeremo fino a quando non avremo riconquistato tutto il Kosovo», sostiene Milic al telefono col Giornale. Le sue dichiarazioni vanno prese con le pinze, ma la tensione si sta alzando. Lungo la strada che porta al confine distrutto di Jarinie sventolano solo bandiere serbe.

Una colonna di soldati americani è arrivata all’imbrunire rioccupando i resti della frontiera. I gipponi corazzati si sono sistemati in copertura puntando le mitragliatrici pesanti contro i serbi che ancora festeggiavano.

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