E la Lazio deve giocare anche contro gli ultrà

E la Lazio deve giocare anche contro gli ultrà

Alla vigilia di Lazio-Inter, che in casa nerazzurra evoca ricordi pari alla peste di manzoniana memoria, Massimo Moratti vive in una specie di gabbia virtuale, alle prese con feroci tormenti e solenni arrabbiature. Per non usare una terminologia più greve, ma forse più fedele al suo stato d’animo. Qualche giorno fa ha confessato che l’amarezza dell’ormai celeberrimo 5 maggio sarebbe poca cosa rispetto a una eventuale disfatta in questo campionato: i tifosi nerazzurri facciano le corna o tocchino quanto hanno di sacro. Uno dei suoi collaboratori è rimasto così toccato dalle sue parole che gli ha consigliato di lasciare il calcio: «Così tutti impareranno cosa significa avere o non avere un Moratti in questo mondo dove ha investito centinaia di milioni». E in effetti, a parte qualche eccezione, la grande parte dei quattrini che girano nel calcio italiano sono suoi o di Berlusconi. Ma questo è un altro discorso rispetto alla contingenza di giornata. Il presidente non aveva messo in conto di dover soffrire per vincere questo scudetto. E adesso ce l’ha con mezzo mondo: innanzi tutto con i media, poi con Calciopoli, infine con l’allenatore. Cerchiamo allora di capire.
I media. Moratti ritiene che giornali e tv diano addosso all’Inter con un accanimento quasi terapeutico. Poche le eccezioni. «Cosa sarebbe accaduto – s’è domandato e ha domandato a chi gli sta attorno – se fossero stati i miei giocatori a battere la Juventus con un gol in grossolano fuorigioco?». Sarebbe venuto giù il mondo, la risposta persino banale. Invece non è successo niente dopo il gol irregolare di Camoranesi: quasi a significare che quell’errore dell’assistente Nicoletti («ma facciamolo santo») è stato considerato alla stregua d’una catarsi, di una riparazione indiretta o trasversale ai favori arbitrali ricevuti dalla squadra nerazzurra fino a qualche settimana fa. A suo dire una critica preconcetta. E giù il paragone con l’assordante silenzio sulle espulsioni che hanno costretto l’Inter a giocare più volte in inferiorità numerica: un fatto anomalo, mai accaduto a un club in corsa per vincere lo scudetto.
Calciopoli. Da squadra perdente e simpatica, l’Inter è divenuta vincente e antipatica. L’assioma non è del tutto fisiologico secondo Moratti che, in una intervista rilasciata durante i festeggiamenti del Centenario, aveva ammesso: «L’Inter paga Calciopoli come se ne fosse responsabile. Non è colpa nostra se altri hanno barato. Una situazione incredibile». È uno dei motivi che più amareggiano il presidente nerazzurro al pensiero di come perse lo scudetto al tempo di Simoni prima e poi a quello di Cuper poi. Nella sua memoria le sviste degli arbitri Ceccarini e De Santis occupano ancora un posto primario. Giusto. Moratti non dimentichi però che l’Inter nel 2002 favorì il recupero della Juventus con un finale di stagione disarmante. Che non ricapiti quest’anno.
Mancini. Il presidente si affanna a smentire le voci sulle presunte alternative a Mancini: «Non è vero che sono andato a trovare Mourinho a Londra, non è vero che ho parlato con Prandelli». Sui particolari non bara, ma nella sostanza sì. In almeno due occasioni ha avuto la tentazione, e anche più, di licenziare il tecnico jesino: la prima dopo lo psicodramma andato in onda alla fine di Liverpool-Inter, la seconda all’indomani della recente sconfitta con la Juventus. Ma s’è trattenuto per timore di destabilizzare ancora di più lo spogliatoio diviso proprio sul tecnico: Figo, Crespo, Materazzi, Vieira e Cesar sono sull’Aventino, e Moratti lo sa per diretta conoscenza. Sulla sorte di Mancini non pesano solo le dichiarazioni di addio, ma anche altre riflessioni tecniche. La squadra è appassita alla ripresa della Champions League, come era già accaduto in passato. Gli uomini di maggior spicco e ingaggio non fanno più la differenza: Ibrahimovic ha segnato solo due gol su azione dallo scorso ottobre, Cruz non l’ha mai messa dentro nel 2008 e Stankovic si trascina per il campo da febbraio. Il gioco latita, il modulo non convince e gli infortuni si susseguono. Eppure Mancini ha avuto tutti i calciatori e i collaboratori che ha chiesto. Del genere: si assuma le responsabilità che competono a un manager da 6 milioni netti a stagione e non usi il medico come alibi. Tirate voi le somme. Di suo Moratti ritiene di aver fatto il massimo.

Impossibile dargli torto al pensiero che ha perfino accantonato i suoi doveri di petroliere per accorrere quasi quotidianamente al capezzale dell’Inter. I giocatori l’hanno capito. È la grande dote che si porta all’Olimpico.

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