"E' tutto vero: sono colpevole, ma per eccesso di madre"

Ammetto tutto. Sono colpevole. E credo di poter dire per me quello che ho pensato, ma dopo un primo intervento non ho scritto, di Galimberti. Lui ha taciuto, diviso fra irritazione e vergogna; io parlo. Né lui né io siamo così ingenui, come insegnanti (per il tempo in cui ho svolto questa funzione) e come alunni, da non sapere che quando si copia o ci si ispira a un testo basta travestirne il contenuto cambiando alcune parole, aggiungendo avverbi, spostando frasi. Nel suo caso e nel mio ciò non è avvenuto. Dovremo quindi essere oltre che scorretti e fraudolenti, anche cretini.

La riproduzione di un testo di altri a firma nostra, in questo caso a firma mia, è particolarmente grave e rappresenta soprattutto un atto di sfiducia verso se stessi. È un inganno primario, banale; ed anche un segno di impotenza. Qualcuno potrà dire, fra i giustificazionisti (rari): ma è per mancanza di tempo, disinvoltura, fretta. Non per me che, virtuoso della parola, detto articoli su un piede solo nelle situazioni più difficili e posso fare una conferenza o scrivere un articolo su Botticelli come su qualunque altro pittore in meno di un’ora e senza consultare alcun testo. Chiunque abbia seguito una mia conferenza (che può essere, e spesso è stata, trascritta in un testo) lo sa. E allora come posso aver copiato il testo di un altro, che pure condivido e ammiro? Mi tocca innanzitutto esprimere tutta la mia considerazione e, contestualmente, le mie scuse a Mina Bacci che ha scritto il «mio» testo per i Maestri del colore circa quarant’anni fa.

Lo sottoscrivo a tal punto che, come un pittore che si esercita, ne ho fatta una copia ma né lei né io abbiamo un pensiero originale su Botticelli che sia altro che una parafrasi dei saggi sul pittore dal Berenson al Lightbown. Io non ho un pensiero originale né ho mai avuto l’interesse particolare per Botticelli. Come si spiega allora il plagio? Così come ne sono colpevole ne sono inconsapevole. Non ho fatto nulla, non ho visto nulla. Né la mia «copia» né il libro stampato. La casa editrice Skira mi ha commissionato una serie di monografie da allegare a un grande quotidiano. A me toccava la presentazione e la direzione dell’impresa. Ho accettato l’incarico e ho dato disposizione ai miei collaboratori di mettere insieme su ogni pittore tutto quello che, nel corso degli anni, avevo scritto per trarne testi chiari e divulgativi. Un’operazione di riciclaggio, tanto semplice quanto trasparente, anche contando su numerose lezioni, universitarie e televisive, poi trascritte in testi, in parte ancora inediti. La circostanza richiedeva un’opera, in tutto e per tutto, come quella dei pittori che ero chiamato a commentare: Sgarbi e la sua bottega. Si conosce la bottega di Giotto, si conosce la bottega di Raffaello, si conosce la bottega di Bellini e non è raro vedere quadri di bottega firmati dal maestro. Così ho fatto, senza preoccuparmi di rivedere e ritoccare le opere della bottega. In molti casi interamente derivate da opere mie autografe.

In qualche caso, come questo, spero solitario, in carenza di lezioni, articoli, appunti su Botticelli, una mano della bottega ha, con eccessiva disinvoltura e ingenuità, recuperato un testo d’altri. Allo stesso modo, credo ha agito Galimberti, o meglio la sua bottega. Un assistente ha curato alcuni capitoli e ha trovato alcuni concetti del professore meglio espressi da altri. Io stesso posso riconoscere che la Bacci ha scritto di Botticelli meglio di quanto avrei potuto fare io. Ma riconoscendo la colpa devo anche dire che io non l’ho né voluto, né deciso. Anzi avrei letto il testo della Bacci, se mi fosse accaduto, pensandolo mio, ingannando quindi anche me stesso. Ma il plagio mi appare così grossolano, che ho pensato che avrei dovuto cacciare quel collaboratore così sprovveduto d’avermi esposto a questa brutta figura. Anche la bottega ha responsabilità e deve essere degna del maestro. Dall’indagine è uscito il responsabile che, incalzato dalla casa editrice per consegnare in tempi veloci il testo, ha stralciato alcune parti degli utilissimi e sempreverdi Maestri del colore. Una scelta facile dettata dall’urgenza. Con un rapido taglia e cuci, il testo - pronto a sfidare anche una mia eventuale e severa lettura - era preparato, e io cucinato come un pollo senza saperlo. Nella bottega, se anche non avesse confessato, è riconoscibile l’autore materiale del plagio, più che in buona fede: mia madre. Stretta nella scadenza della consegna ha scelto la scorciatoia che si è rivelata scivolosa e ha fatto cadere il figlio.

Qualcuno mi ha detto: ma questa ricostruzione è come quella di una multa e di una sottrazione di punti che si applica alla patente di un congiunto che non guida mantenendo integra la propria. Ma mia madre, nella bottega, guida, eccome! E interviene, o interveniva (oggi è inattiva, reduce da una lunga degenza ospedaliera) per rispondere alle crescenti richieste di una committenza cui una sola mano era impari. D’altra parte, non so quanti dei miei critici sappiano che alcune sculture di Lorenzo Bartolini prodotte in più di una versione recano la firma: «Bartolini direxit» (che è altra cosa da «Bartolini fecit»). L’incidente di oggi mi consente di dirlo.

In un’altra occasione, accusato di non avere riconosciuto d’avere scambiato un falso annuncio per un’opera di Damien Hirst, non potei dichiarare che anche quell’errore non era mio ma della mia bottega che aveva semplicemente rielaborato alcune mie considerazioni generali sull’artista, e quindi non mi ero applicato al caso specifico. Dunque mi dichiaro colpevole (e anche inconsapevole) per eccesso di madre. Un insolito caso di edipismo critico. Ma sono felice di aver potuto affermare e confermare tutta la mia stima per Mina Bacci.

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