"Eccessivo burocratismo" Neanche Benedetto XVI ha fede in questa Europa

Il papa critica la "cultura razionalistica" e l’eccesso di "burocratismo centralistico" di Bruxelles. Un euroscetticismo dettato dalla delusione per un’istituzione ossessionata dai cavilli e lontana dalla gente

"Eccessivo burocratismo" 
Neanche Benedetto XVI  
ha fede in questa Europa

Avere fede nell’Europa? Più facile avere fede nella dea Kalì. Il Papa vola in Croazia, chiacchiera con i giornalisti, com’è solito fare durante i viaggi, e apre quella che l’Osservatore Romano definisce «una riflessione chiara» sull’Unione. Mai sentito un Benedetto XVI così euroscettico. Non usa mezze parole, seppur nel vellutato linguaggio curiale: attacca il «burocratismo centralistico» di Bruxelles, l’eccesso di «cultura razionalistica» e la distanza dai cittadini dalle istituzioni comunitarie. Gli chiedono come mai i croati, nella lunga attesa di entrare a far parte del continente unito, diventano sempre più scettici. E lui fa intendere che li capisce perfettamente: per credere nell’Europa, oggi, ci vuole una fede così grande che nemmeno quella del Papa, evidentemente, basta.
In effetti: sono passati ormai dieci anni dall’unificazione monetaria, e la costruzione dell’Europa dei cittadini, che s’era vagheggiata, è rimasta al palo. Abbiamo un continente che costa (e tanto) e non ci serve a nulla, se non a complicarci la vita: sui grandi problemi economici e sociali, dall’immigrazione alla crisi, dalle politica di sicurezza alla difesa comune, Bruxelles latita. In compenso diventa onnipresente e petulante quando si tratta di andare a normare fin nei minimi dettagli le sciocchezze: le banane non sono banane se non hanno una determinata curvatura, i piselli non sono piselli se non hanno una certa circonferenza e una blusa, per essere blusa, deve misurare 58 centimetri e essere in tinta unita.
Purtroppo siamo sempre fermi lì. Sono andato ad aprire le ultime due gazzette ufficiali europee disponibili: quella dell’1 giugno 2011, scende fin nei minimi dettagli a regolamentare il coniglio da ingrasso, il chorizo de Cantimpadas oltre che un etereo accordo con il Madagascar. E la Gazzetta del 2 giugno 2011, invece, riserva una decina di pagine alle norme della banca dati E-Bacchus per regolamentare come devono essere scritte le etichette dei vini con dettagli fondamentali per la nostra esistenza, tipo: «Se sull’etichetta figura il titolo alcolometrico volumico totale, la cifra corrispondente è seguita dalla dicitura “% vol” e può essere preceduta dai termini “titolo alcolometrico totale”o “alcol totale”». Roba che alla fine l’impressione è che il vino, più che regolamentarlo, l’abbiano abbondantemente bevuto.
Naturalmente, tutto il rispetto possibile per il chorizo, il coniglio da ingrasso e la dicitura sul titolo alcolometrico volumico totale: ma è per questo che abbiamo fatto l’Europa? Quando il Papa parla di «centralismo burocratico», in effetti, si riferisce proprio a ciò: un’Europa che, vuole decidere tutto sulle etichette e sul chorizo, ma ha perso di vista i suoi fondamenti, le sue radici, i cittadini. Un’Europa che ha cancellato i valori cristiani dalle sue fondamenta, che ha perfino dimenticato il Natale nel diario prodotto per le scuole lo scorso dicembre, ma che si accanisce a elaborare montagne di legislazione inutile, magari solo per dire che «i lupini dolci non sono quelli amari» e che «una noce vuota per essere considerata vuota dev’essere vuota». Giuro che esistono davvero norme così.
Alla fine l’impressione è che questo mastodontico continente unito non serva nulla ai cittadini europei. In compenso serva molto ai 44mila burocrati, che non se la spassano affatto male: un usciere, per dire, guadagna fra i 4mila e i 6mila euro netti al mese, un archivista arriva a 9mila, i dirigenti toccano quota 16mila. Questa settimana abbiamo scoperto, in via ufficiale, che l’Europa ha una sede alla Barbados con 44 dipendenti che costano 5,8 milioni di euro l’anno; e una alle Figi, con 33 dipendenti, che costano 3,1 milioni di euro l’anno. A che servono? A organizzare la festa dell’Europa al Mango Café di Suva, a intervenire sui beni agricoli di Kiribati e Nauru e a complimentarsi per la nomina di Toke Tukufia Talagi a premier di Niue. Quando si dicono 8,9 milioni di euro ben spesi.
Fa un po’ effetto no? I cittadini europei sono in difficoltà, la crisi morde dalla Grecia alla Spagna, le economie familiari vacillano e Bruxelles che fa? Continua a spendere per il Mango Café di Suva e per gli auguri a mister Tukufia, stanzia aumenti per i portaborse (nel 2010 hanno avuto 1500 euro in più al mese), devolve 2,6 milioni di euro per un nuovo centro visitatori e 2 milioni di euro per una nuova palestra riservata agli europarlamentari (motto: coccolatevi un po’. Come se non lo facessero abbastanza). Per finanziare i buchi di bilancio, poi, come ci ha raccontato in settimana Gian Micalessin, l’Ue pensa addirittura di introdurre tasse dirette a carico di tutti noi. Proprio così: aumenti ai portaborse e tasse ai cittadini. Che dire? Altro che centralismo burocratico, altro che distanza dai problemi concreti: meno male che adesso contro questo disastro alza la voce anche il Papa.

Magari, chissà, Sua Santità riuscirà a ottenere quel cambiamento dell’Europa che aspettiamo da anni: non solo perché il suo è un intervento assai autorevole. Ma anche perché, volendo, può rivolgersi direttamente a chi ha una certa pratica con i miracoli.

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