Ecco perché merito di "governare" Venezia

Vittorio Sgarbi risponde a chi contesta la carica soprintendente al Polo Museale della Laguna

Non è piacevole arrivare in ufficio (a Venezia), da tre mesi non pagato, con mille responsabilità e iniziative, e trovare puntualmente una lettera di minacce, come naturale coronamento delle tante denunce, con sequestri miliardari e arresti, per l’osceno e criminale affare dell’eolico, che ha sfigurato la Sicilia, la Puglia, la Campania, la Calabria. Sono stato solo per molto tempo, mentre un’antimafia di maniera identificava il nemico in comportamenti arcaici e caricaturali. Io ho denunciato le multinazionali che colpevolmente approfittavano del contributo degli «sviluppatori».

Ma è spiacevole verificare, ormai da mesi, il goffo tentativo di influenzare i magistrati contabili con insinuazioni sulla illegittimità della mia nomina a Soprintendente Speciale per il Polo Museale Veneziano. Un solo minaccioso esponente di un sindacato persegue questo obiettivo in nome di regole di cui non capisce il senso, se non come un’astrazione che prescinde dal merito degli uomini, come chi dicesse che un pittore è uguale a un altro, che Picasso vale come Novella Parigini. Così la Corte dei Conti si accinge oggi a valutare l’equità dei miei titoli rispetto al nuovo incarico che il Ministro Bondi ha stabilito sulla base della conoscenza della mia opera come storico, critico, promotore d’arte, Soprintendente e oggi, senza parità di titoli, Sindaco di Salemi, Commissario per la costruzione della Cattedrale di Noto, Alto Commissario per la Ricostruzione della Villa del Casale di Piazza Armerina, Presidente dell’Accademia di Urbino, Direttore del Settore Arte del Festival di Spoleto e in passato, con vastissima produzione di mostre e iniziative culturali, assessore alla Cultura di Milano, Sindaco di San Severino Marche, Presidente della Commissione Cultura della Camera dei deputati, Sottosegretario per il ministero dei Beni culturali.

Capisco che in nome delle regole due funzionari del Ministero avessero buoni titoli per competere allo stesso posto, nonostante il Ministro avesse già proposto a me, prima che altri fossero evocati, questo incarico. Se dovessimo mantenerci entro i titoli prettamente relativi alla carriera di storico dell’arte, non solo io sono rimasto nell’organico del Ministero a partire dal 1976, con una lunga aspettativa senza stipendio, ma ho prodotto per musei e istituzioni italiane e straniere una quantità di mostre senza paragone e numerosissimi libri e pubblicazioni.

Oggi si discute il mio merito nella percezione del Ministro rispetto a una funzione tanto delicata e una città tanto straordinaria quanto pigra nelle attività istituzionali, soprattutto relative ai Musei statali. Si aggiunga, come forse nessuno ha ritenuto di far sapere alla Corte, che i Poli Museali (cinque: Napoli, Firenze, Roma, Venezia, Milano) sono stati istituiti per iniziativa e volontà del Sottosegretario ai Beni culturali che io fui tra il 2001 e il 2002. In una complessa elaborazione con cui io definii le caratteristiche dei Poli Museali, in fitto dialogo con Nicola Spinosa e Claudio Strinati, perfino nelle autonomie e negli aspetti contabili. Un disegno così convincente che fu subito recepito dal Ministro Urbani. Mia pura invenzione.

Posso non essere ritenuto idoneo a guidare una struttura che io stesso ho creato? La Corte, oggi, minacciosa, cerca di verificare che io abbia quelle prerogative che non è possibile reperire nelle personalità appartenenti all’organico del Ministero. È facile dimostrarlo, carte alla mano: nei cinque istituti che fanno parte del Polo Museale Veneziano, uno era completamente restaurato e aperto al pubblico solo per appuntamento, Palazzo Grimani. In un mese, con le risorse del personale interno, l’ho aperto tutti i giorni, undici ore al giorno. Prima andavano col contagocce due o tre persone al giorno; oggi, in un giorno, paganti, vanno tante persone quante ne andavano in un anno. Allo stesso modo ho aumentato i visitatori della Ca’ d’Oro aprendone l’entrata principale; e mi sto accingendo a fare lo stesso con il Museo Archeologico, di cui nessun veneziano conosce l’esistenza, pur avendo i portoni (chiusi) su Piazza San Marco.

Ma mi sembra risolutivo, per chi perseguisse un astratto egalitarismo di fronte a regole che non tengono conto delle personalità e dei temperamenti necessari per amministrare i musei in una città difficile come Venezia, l’autorevole parere del professor Fabrizio Lemme rispetto a un argomento cruciale forse ignoto alla Corte. Infatti il ruolo di Alto Commissario che io ricopro in Sicilia è stato inquadrato da apposita legge, votata dal Parlamento siciliano cinque anni fa, con la più alta delle funzioni dirigenziali, quella di Direttore generale, equivalente al ruolo dell’Architetto Cecchi del Ministero dei Beni culturali. Fra le varie considerazioni è importante il richiamo di Lemme alla legge regionale numero 10/2000 che all’articolo 1 comma 2 stabilisce che «per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, numero 29, e successive modifiche e integrazioni», imponendo così un’interpretazione che assicuri al personale dirigenziale regionale lo stesso trattamento spettante al corrispondente personale dello Stato. Infatti l’articolo 6 della legge regionale numero 10/2000, nel disciplinare l’«ordinamento della dirigenza», prevede, al comma 6, la creazione di «una banca dati informatica contenente i dati curricolari e professionali di ciascun dirigente per finalità di conferimento degli incarichi e per promuovere la mobilità e l’interscambio professionale degli stessi tra amministrazioni statali, regionali, locali, organismi ed enti internazionali, secondo le modalità di cui all’articolo 33 bis del decreto legislativo 3 febbraio 1993 numero 29». Lemme può così concludere che la ratio della norma è chiara e non si presta a interpretazioni difformi: la possibilità di un interscambio professionale tra dirigenti statali e dirigenti regionali, oltre a presupporre, a rigor di logica, categorie professionali perfettamente equivalenti, implica un riconoscimento esplicito da parte dello Stato, della dignità “professionale” dei dirigenti regionali e, quindi, la loro conseguente equiparazione a dirigenti ministeriali. Mi sembrano parole definitive.
Ma forse non quanto quelle della collega Letizia Sebastiani, Direttrice della Biblioteca Marciana che, esprimendomi la solidarietà per le minacce di morte, sembra anche alludere ai colpi bassi degli invidiosi e dei malintenzionati. Lo invio, con fiducia, ai giudici della Corte: «Devi resistere, andare avanti: con te è un vero piacere lavorare, perché pensi e sei travolgente.

Hai portato tanto fervore e voglia di rimettersi in gioco. Dobbiamo fare tante cose ancora». Corte permettendo, nel riconoscimento del valore della diversità, così chiaro al Ministro Bondi, come a tutti quelli che amano, e a cui ho fatto amare, l’arte, in Italia.

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