Parigi - Da una settimana, lo sport nazionale in Francia è quello di chiedere a una persona quale sia il principale difetto del suo miglior amico. Tutto è cominciato col clamoroso scivolone di Arnaud Montebourg, deputato socialista e portavoce ufficiale di Ségolène Royal. Interrogato in tv sul «principale difetto» della signora, Montebourg ha risposto: «Il suo compagno François Hollande!». Apriti cielo, visto che Hollande è segretario generale del Ps francese. Incontrando l'ex ministro degli Esteri ed ex commissario europeo Michel Barnier, amico e stretto collaboratore di Nicolas Sarkozy, ossia del rivale della Royal in vista delle prossime elezioni presidenziali, non resisto alla tentazione di chiedergli quale sia «il principale difetto» del leader del centrodestra. Barnier risponde deciso: «Il cioccolato».
Poi la conversazione con Barnier passa a temi di ben altro genere. Esponente dell'Union pour un Mouvement populaire (Ump, il maggior partito di centrodestra), Barnier ha accettato l'incarico di consigliere di Sarkozy in politica estera. Molti pensano che - in caso di vittoria elettorale del centrodestra - il suo ritorno al Quai d'Orsay sarà pressoché automatico. Barnier, grande esperto di questioni comunitarie, ha lasciato nel 2004 la Commissione europea per diventare ministro degli Esteri e ha ceduto questa responsabilità a seguito del terremoto provocato dalla vittoria del «no» al referendum del 2005 sulla ratifica del trattato costituzionale. Adesso ha un ruolo fondamentale nell'elaborazione della strategia europea del candidato Sarkozy.
In Francia e in Canada sono esplose polemiche a seguito della gaffe di Ségolène Royal, che si è espressa a favore della secessione del Québec. Lei che ne pensa?
«Ho difficoltà a comprendere la linea di madame Royal in politica estera. Mi sembra un insieme di frasi buttate qua e là. Nel caso specifico del Québec, tutti sappiamo che esiste una regola di non ingerenza negli altrui affari interni. La Francia conosce benissimo le caratteristiche francofone del Québec e al tempo stesso rispetta un Paese amico come il Canada».
C'è chi dice che Ségolène Royal stia pagando il peso della propria inesperienza in politica estera...
«Io ho un'impressione di imprevedibilità delle sue dichiarazioni e delle sue prese di posizione. Penso a quanto ha recentemente affermato durante in suo viaggio in Cina, quando ha attaccato il comportamento delle imprese francesi invece di sostenerle nei loro sforzi di espansione internazionale».
Qual è la cosa che la colpisce di più dell'attuale campagna elettorale francese?
«Per la prima volta le tematiche ecologiche sono in primissimo piano e questa è un'ottima cosa. Penso che la maturazione dell'opinione pubblica in questo campo sia dovuta tra l'altro agli sforzi di due personaggi ben diversi tra loro come Al Gore e l'animatore televisivo francese Nicolas Hulot».
Che cosa vogliono i francesi dal loro presidente?
«Vogliono certamente che sia credibile in politica estera e dunque in primo luogo che sia capace d'iniziative forti in ambito comunitario. Un presidente francese deve assolutamente avere un ruolo propulsivo in Europa».
Diciamo la verità: i francesi sono scottati dalla vicenda del referendum e in questa campagna elettorale si parla ben poco d'Europa...
«Allora diciamola tutta, la verità: il solo partito che parla d'Europa è l'Ump e il solo candidato che dice che cosa farà su questo terreno - una volta entrato all'Eliseo - è Nicolas Sarkozy».
Che cosa farete?
«La Costituzione europea è il miglior testo possibile per un'Europa a 27. È un testo utile, ma purtroppo inutilizzabile nella sua versione originale perché i due Paesi che lo hanno respinto per referendum - Francia e Olanda - non possano essere chiamati a votare di nuovo sull'identico documento. Al tempo stesso ci rendiamo conto che un'Unione europea tanto ampia ha bisogno di una revisione delle proprie strutture. Di qui l'importanza del nuovo Trattato. La soluzione al problema è contenuta all'interno stesso del Trattato costituzionale: occorre prenderne l'essenziale, dando vita a un trattato che noi definiamo “semplificato”.
E se arrivasse un nuovo no francese alla ratifica del «trattato semplificato»?
La ratifica francese sarebbe per via parlamentare e non ci sarebbero rischi.
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