In quel Palazzo Mezzanotte in bianco e nero, la cui foto Alinari posta al centro di una corona di margherite e rose bianche presidiava ieri l'ingresso della chiesa, c'era quasi tutto di una Borsa, di una finanza, di una Milano che non c'è più. Lui, Ettore Fumagalli, maestro della professione estinta degli Agenti di Cambio, di quella Milano era un superstite ancora in grande forma, mai andato realmente in pensione ai suoi 86 anni, in ufficio tutte le mattine alla Ersel Banca quasi fino alla scomparsa del 5 settembre scorso, improvvisa perché causata da una malattia fulminante. E ieri, ai funerali nella basilica milanese del Corpus Domini, per l'ultimo saluto sono venuti in tanti.
Gremita, la chiesa avrà contato 250 presenti, tra i tanti familiari di cui Ettore era il patriarca, gli amici di casa e quelli del lavoro che lo ha appassionato per tutta la vita. Lo ha ricordato dal leggio, alla fine della cerimonia, Attilio Ventura, amico fraterno e collega di una vita passata tra Piazza Affari e i week end a La Thuile: «C'è una data, il 14 aprile del 1961, quando abbiamo iniziato insieme a operare alle grida. Poi nel 1966, l'esame con cui siamo diventati agenti di cambio». Fu l'inizio di una strada che Ettore, figlio d'arte del padre Guido, ha percorso fino in fondo, salendo al vertice della Borsa, presidente del Comitato direttivo degli agenti di cambio dal 1983 fino all'88 (come il papà, che lo fu vent'anni prima), delle Borse europee e poi lavorando per la trasformazione di quel sistema in qualcosa di più moderno.
Paradossalmente, è stato proprio Fumagalli, insieme tra gli altri allo stesso Ventura, a lavorare per l'estinzione della figura professionale dell'agente, scrivendo di fatto quella legge del 1991 che ha poi sostituito la figura dell'agente con le «Sim», personalità giuridiche successivamente finite sotto il controllo delle grandi banche. Mentre, nello stesso tempo, la Borsa, fino a quel momento un mercato fatto alle grida del parterre di Palazzo Mezzanotte, diventava una spa a capitale privato. Un percorso di modernizzazione che ha trasformato Piazza Affari da listino artigianale a uno dei 3-4 maggiori d'Europa e tecnologicamente tra i più evoluti. «La nostra epoca era finita ha detto Ventura e l'avevamo distrutta noi stessi».
Il venerdì pomeriggio poi, da Sant'Ambrogio fino al 25 aprile, via verso la Val d'Aosta, dove Fumagalli, Ventura e un altro mostro sacro delle grida quale Renzo Zaffaroni, scomparso nel 2019, avevano casa a La Thuile, nello stesso condominio, costruito insieme a metà degli anni Settanta in una località allora nota più per le miniere che per il turismo, ma preferita alle Courmayeur e alle Cortina proprio per le sue montagne selvagge. Sci di discesa o alpinismo che fosse, Fumagalli e Zaffaroni in testa partivano la mattina presto e tornavano al tramonto. D'estate sul ghiacciaio del Rutor. Via via seguiti da figli e poi nipoti sempre più numerosi. Dal lunedì di nuovo alle grida a gestire con i bigliettini dei «procuratori», sia il tran tran quotidiano, sia le partite più delicate dei ruspanti anni Ottanta, dalle scalate Montedison o Carlo Erba, ai passaggi di mano di pacchetti dell'1-2% di Fiat o Generali, fino alla nascita dei fondi comuni, altra legge scritta a Milano, con la quale Fumagalli, Zaffaroni, Ventura e Angelo Abbondio fondarono uno dei primi strumenti azionari di massa: il mitico Fondo Professionale.
Tutto transitava dagli uffici dei grandi agenti di Santa Maria Segreta, Casati, Moneta e le altre viuzze aggrovigliate intorno a Piazza Affari. Dove si alternavano cambi valute, filatelici e barbieri che dei titoli del listino ne sapevano di più dei broker di Wall Street; e dove a mercato chiuso, nel pomeriggio, si incontravano più o meno improbabili pittori con la loro mercanzia sottobraccio.
E anche qualche giornalista: i più esperti a vivere quel boom irripetibile che contribuì a portare la finanza sulle prime pagine; quelli alle prime armi a imparare il mestiere meglio che all'università. Tutti, oggi, siamo grati a Ettore. Non lo dimenticheremo.
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