Natale amaro per i dipendenti dell'indotto ex Ilva, ovvero tutta quella serie di imprese che da anni lavora a «servizio» dell'acciaieria di Taranto e che da mesi ha accumulato una serie di fatture, per le prestazioni rese, che sono rimaste inevase. Si parla di oltre 155 milioni, di cui 70,9 milioni già scaduti, che AdI (Acciaierie d'Italia, 62% Arcelor Mittal e 38% Invitalia) non sta onorando per mancanza di liquidità e per il rifiuto reiterato del socio privato a sottoscrivere un aumento di capitale da iniziali 380 milioni.
Così, 4mila persone alle dipendenze dell'indotto si preparano al peggio: niente stipendio e niente tredicesima. Un'ennesima beffa - e un nuovo grido d'allarme - che l'associazione che riunisce le imprese (AIGI-Associazione Indotto e General Industries) lancia a tutti i sindacati in una nuova lettera aperta.
«Ad oggi ci vediamo costretti, nostro malgrado, a comunicarvi l'impossibilità per le nostre imprese metalmeccaniche di far fronte, nel mese corrente, al pagamento degli oneri fiscali e previdenziali e, purtroppo, alla erogazione di stipendi e della tredicesima mensilità ai nostri collaboratori».
Nonostante gli appelli lanciati più volte, le numerose richieste di incontro inviate al management della società e all'amministratore delegato Lucia Morselli in primis, al premier Giorgia Meloni e ai ministri coinvolti, «tutto è rimasto lettera morta».
Ancora: «Chiediamo perciò di poter rientrare dello scaduto alla luce dello stallo decisionale a cui si è giunti da parte degli attori interessati, governo e parte privata, con conseguente riduzione totale delle commesse e addirittura il blocco di quelle che avevamo acquisito sulle quali abbiamo anche investito ingenti risorse economico-finanziarie. Non intravediamo spiragli di programmazione. Al prossimo 31 dicembre non si registrano ordini, non c'è un programma lavorativo. Per questo ci ritroviamo nella drammatica condizione di non poter far fronte al pagamento degli stipendi e delle tredicesime oltre alle previste scadenze fiscali e finanziarie». Va detto che lo scaduto delle fatture arriva a 180/210 giorni e riguarda 70,9 milioni di euro già esigibili spalmati su 49 aziende dell'indotto. Insomma, in ogni momento può potenzialmente essere avanzato un sequestro conservativo da parte dei creditori. È questione di giorni: oltre il 22 dicembre, data fissata per la nuova assemblea dei due azionisti, difficilmente il polo siderurgico uscirà vivo senza una decisione drastica. Che può essere il commissariamento o la conversione del prestito da 680 milioni e un doppio aumento di capitale restano la strada maestra per salvare la situazione.
Ma la caccia alle risorse e a un futuro management o azionista che possano traghettare un'Ilva alla deriva è ancora in salita. Poco più di una settimana resta al governo per trovare la quadra a un dossier che rischia di innescare una pericolosa mina industriale e sociale.
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