Un attacco francese all'Italia nel silenzio della politica

Bolloré vuole tutto: telefonia, internet, informazione e tv. Ma non c'è una voce che denuncia il rischio per il Paese

Un attacco francese all'Italia nel silenzio della politica

Adesso l'attacco è in piena regola, con tutti i connotati della scalata ostile: neppure 24 ore dopo aver alzato il velo sul pacchetto del 3% di Mediaset in suo possesso, i francesi di Vivendi escono definitivamente allo scoperto e annunciano di aver messo le mani sul 12,3% del Gruppo del Biscione. Con la regia di Vincent Bolloré. Il finanziere francese di origini bretoni, cresciuto alla scuola della finanza internazionale ebraica di Antoine Bernheim e attraverso quella strada divenuto l'azionista privato numero uno in Mediobanca, sta realmente lavorando a un piano per conquistare l'Italia? Non parliamo della Repubblica, ma del sistema di finanza e affari che da Mediobanca scende verso Generali da un lato, Telecom e Mediaset dall'altro. Il che equivale a occupare una posizione di potere bancario, finanziario, mediatico e quindi politico che lascia fuori ben poco. L'ultimo attacco è quello in corso: contro Mediaset, di cui Vivendi, il gruppo controllato appunto da Bolloré, punta deciso verso il 20% con un'operazione certo non amichevole; cioè non gradita alla Fininvest di Silvio Berlusconi, che di Mediaset, dopo il 3,527% acquistato ieri, ha il 38,266%, ovvero il 39,775% sul capitale con diritto di voto. Quello invece portato a termine un anno fa senza tanti complimenti è stato su Telecom Italia, dove Vivendi ha quasi raggiunto la soglia massima consentita del 25%. Non senza qualche piccolo trucchetto societario. Peccato però che nell'operazione Telecom, Bolloré e i manager di Vivendi abbiano sbagliato i loro calcoli finanziari e abbiano parzialmente perso l'occasione di cablare l'Italia a banda larga, così da ritrovarsi oggi «sotto» di circa un miliardo.

Ma bisogna partire da qui, da questo potenziale bagno di sangue, per comprendere tutto il resto: a uno come Bolloré perdere un solo euro dà già fastidio; se poi ci sono di mezzo anche altri amici e soci che hanno avuto fiducia in lui, peggio si sente. Per questo, dopo quasi 20 anni passati a cucire in Italia alleanze e diplomazie, oggi Bolloré getta la maschera: punta a prendere il controllo del sistema misto tlc-tv-contenuti italiano convinto che solo in questo modo potrà rientrare dei soldi investiti e diventare ancora più influente. Con capitali francesi, naturalmente. Allo stesso tempo è pronto ad affondare il coltello là dove è sempre stato attento a non irritare gli equilibri di potere e i soci italiani: le Generali.

Lo può fare per almeno tre motivi: il primo è avere la forza di Mediobanca - che pure formalmente si dichiara neutrale - e del suo ad Alberto Nagel dalla sua, per la prima volta senza contrappesi. Perché Unicredit, l'altro grande socio di Mediobanca, è alle prese con altri pensieri, tra cui 13 miliardi di aumento di capitale; e poi è guidato da poco da un manager anch'egli amico e francese, Jean Pierre Mustier, che ha appena ceduto il risparmio gestito al gruppo (francese) Amundi; il secondo è la spada di Damocle puntata sulle Generali, passate da un anno sotto la guida di un terzo protagonista francese, Philippe Donnet: un ex Axa, che si è circondato di vari manager ex colleghi e che sembrerebbe pronto a condurre Trieste nelle braccia del gruppo assicurativo francese se si presentasse l'opportunità. Il terzo è la debolezza della politica italiana, apparentemente del tutto disinteressata al fatto che possano finire ai francesi non i prodotti da forno, ma qualcosa di più strategico: le linee telefoniche fisse e mobili; la rete internet; il 50% circa dell'emittenza e dell'informazione televisiva; la più grande compagnia finanziaria italiana con 450 miliardi di riserve gestite di cui 70 investiti in Btp.

Possibile che la politica stia a guardare e basta? Non stiamo parlando di un rischio per il Paese? Per ora si sollevano ben poche voci, nessuna abbastanza rilevante. Con il rischio che si sveglino quando sarà troppo tardi. L'unico gruppo che ha apertamente denunciato la situazione è la stessa Mediaset, insieme con il socio Fininvest. In difesa dei propri interessi, naturalmente. Ma che in questo caso coincidono anche con quelli del Paese. Non ci piove. E lo dimostra il fatto che da ieri Mediaset ha arruolato al suo fianco Intesa e Unicredit. Due super advisor, scelti non a caso entrambi italiani.

Avranno il compito di lavorare, nell'interesse di tutti gli azionisti Mediaset, per capire i reali obiettivi di Vivendi. Chissà che, partendo da questo primo fronte tricolore, non si risvegli anche qualche altra coscienza nazionale.

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