Appena due settimane di lockdown hanno piegato l'America come una lattina calpestata. Il coronavirus segna la fine di un'epoca, quella della crescita senza fine capace di annullare l'alternarsi dei cicli economici, e manifesta tutto il proprio potere distruttivo sotto forma di un crollo del Pil nel primo trimestre del 4,8%. Le stime più ottimistiche di un calo contenuto al 3,5% sono state polverizzate. Non conforta il confronto con la picchiata ancor più rovinosa del periodo gennaio-marzo 2008 (-8,4%): il peggio deve ancora arrivare.
Già la revisione della stima preliminare, diffusa ieri dal dipartimento al Commercio, porterà ancora più in basso il punto di caduta. Inevitabile, visto che la serrata da Covid-19 ha reso difficile la raccolta dei dati sulla circolazione di beni e servizi. Goldman Sachs mette già in conto una revisione brutale nella seconda lettura: un -8,25% sinistramente vicino ai disastri provocati dal virus dei mutui subprime.
Gli Stati Uniti non sono ancora scivolati in recessione tecnica, ma nessuno si fa illusioni. Le previsioni sul secondo trimestre sono da incubo, con l'economia che potrebbe accartocciarsi del 30% prefigurando una scenario da Grande depressione. L'interrogativo riguarda quanto durerà ancora lo stay at home e, soprattutto, quanto potrà reggere sotto la pressione degli Stati che hanno già cominciato a manifestare forte insofferenza nei confronti della clausura. Tutti lamentano danni. E portano ad esempio lo sbriciolarsi del pilastro dei consumi (-7,6% fra gennaio e marzo, uno score che non si registrava dal 1980 e che ha impattato sul Pil per il 5,2%), devastati dal cambio di abitudini e dall'impossibilità di spendere. Oltre il 50% dei centri commerciali potrebbe chiudere entro il 2021, avverte un report di Green Street Advisors. Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Appena sotto la superficie affiora il giro di vite dato dalle aziende agli investimenti, spunta la stretta che soffoca le esportazioni e viene a galla la riduzione delle merci importate. È un'America costretta a mettere da parte la retorica roboante del great again di Donald Trump e a ragionare in sottrazione, a interrogarsi se la ripresa avrà la forma di una rassicurante V o se la risalita sarà lenta, sofferta e incapace di riassorbire il 20% di disoccupati previsti per aprile. Washington ha messo finora sul tavolo circa 3mila miliardi di dollari come argine contro la pandemia.
Forse non saranno sufficienti. La Casa Bianca è esposta su più fronti: deve a ogni costo sorreggere l'economia reale, guardarsi dalle turbolenze di Wall Street ed evitare il tracollo dell'industria dello shale oil, messa in ginocchio dal tuffo fino al di sotto dei 10 dollari dei prezzi del petrolio. Rispetto al periodo pre-Covid, il tycoon ha nella Fed un alleato. Dopo aver lanciato un quantitative easing illimitato e tagliato i tassi allo 0-0,25%, all'inizio di aprile la banca centrale ha varato nuove misure di stimolo per 2.300 miliardi di dollari destinate in particolar modo a sostenere Main Street, cioè famiglie e imprese. Ieri Jerome Powell ha lasciato le bocce ferme, ma si è impegnato a mantenere il costo del denaro prossimo allo zero fino a quando l'economia non sarà sulla buona strada per raggiungere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi.
Quanto all'allargamento dell'arsenale anti-pandemia, Powell ha spiegato di ritenere al momento appropriati gli strumenti adottati , ma che per una ripresa robusta l'economia avrà bisogno di un maggiore sostegno da parte della Fed. Anche perché il Pil accuserà una caduta senza precedenti nel secondo trimestre e il tasso di disoccupazione sarà a doppia cifra.
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