Mentre la Commissione Finanze del Senato si avvia a discutere il disegno di legge sulla «Competitività dei capitali», voluto dal governo per arginare la fuga delle società quotate all'estero, fuori da Palazzo Madama è tutto uno sproloquiare di aspiranti legislatori che, senza aver mai ricevuto un voto che sia uno da un qualunque elettore, ritengono di dover spiegare a chi è stato legittimamente eletto su cosa legiferare o non legiferare e quali debbano essere i confini invalicabili dell'attività legislativa che, è bene precisarlo, è affidata dalla Costituzione solo e soltanto ai 600 parlamentari votati dagli elettori. Per capire meglio il senso di quegli interventi, va ricordato che nelle scorse settimane i relatori del ddl, i senatori Orsomarso (FdI) e Damiani (FI), hanno ritenuto di intervenire nell'ambito del provvedimento sulla dibattuta questione delle «liste del cda», la prassi importata dagli ordinamenti anglosassoni che consente al consiglio di amministrazione uscente di indicare all'assemblea dei soci i propri successori (o di rinnovare se stessi). Il tema è tutt'altro che banale visto che, a differenza di quanto avviene all'estero dove il cda rinnova ogni anno parte dei suoi membri rimettendo al voto dell'assemblea ogni singolo candidato, attualmente in Italia il cda è eletto in blocco: se vuoi quel dato manager alla guida della società sei obbligato ad accettare anche quelli, indicati nella lista del cda, che non ritieni all'altezza. Di qui il fatto che, in un sistema che ancora conserva per nostra fortuna la figura degli azionisti stabili che vogliono legittimamente partecipare alla vita della società, la lista del cda - generalmente preferita d'istinto (ma anche come scambio di favori) dai grandi fondi internazionali che ormai rappresentano parte cospicua della capitalizzazione delle nostre società - possa divenire un utile strumento di autoperpetuazione dell'organo di governo in barba agli interessi della società e dei suoi azionisti. Orsomarso e Damiani hanno quindi ritenuto di intervenirea per introdurre quei correttivi utili ad evitare gli scontri cui abbiamo assistito per esempio sulle Generali e che oggi rivediamo nel caso Mediobanca. Ed è qui che gli aspiranti legislatori intervengono non richiesti. Dopo la lettera di Assonime rivelata nei giorni scorsi dal Sole24ore e quella pubblicata lunedì su Repubblica da Piergaetano Marchetti, storico artefice e a lungo presidente del mitico «Patto Mediobanca», a sostegno della lista del cda modello perpetuo, in campo è sceso il presidente della Consob, Paolo Savona, che ha spiegato che «il meglio è nemico del bene», ha lasciato scivolare un neutrale «se potessi intervenire in prima persona direi così: intanto approviamo il disegno di legge, poi affrontiamo il problema delle liste» e ha concluso citando Guido Carli con «la classe politica che governò il Paese dall'inizio degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta non si pose mai il problema del funzionamento dei mercati finanziari». Vero, ma semplicemente perché in quel tempo l'Italia non disponeva di un vero mercato, visto che alle grandi operazioni finanziarie provvedeva Mediobanca, che non a caso più avanti verrà accusata anche da stimati campioni del liberismo economico di averne ostacolato la nascita. Introdurre allora delle regole avrebbe significato limitare fortenmente la centralità della banca fondata da Enrico Cuccia, ma evidentemente i tempi non erano maturi perché il capitalismo familiare allora dominante non era in grado di reggersi sulle proprie gambe. Ma oggi il mercato c'è e si è dato delle regole. E se è vero che via via i manager acquisito un ruolo centrale nella vita delle aziende, sarebbe da babbei pensare di ridurre il ruolo degli azionisti stabili a meri finanziatori. Sicché, lasciando al legislatore eletto la risposta agli aspiranti legislatori, qui ci limitiamo a ricordare al presidente della Consob, famoso per il tweet «...
non sono io a tenere in scacco la Consob ma è la vecchia Consob a tenere in scacco Savona», come la sua autorità sia già intervenuta sulla lista del cda nel caso delle Generali, decidendo pilatescamente di non decidere alcunchè; e come non abbia mai risposto ai quesiti in merito al prestito-titoli, sempre nel caso, Generali posto in essere da Mediobanca in vista dell'assemblea del maggio 2022.
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