Il sovrintendete del Teatro alla Scala di Milano, il dimissionario Stephane Lissner, guadagna un milione di euro l'anno. Un milione tondo tondo. Così ripartito: il fisso è di 507mila euro a cui si aggiungono 155mila euro al raggiungimento degli obiettivi, l'affitto di un appartamento (in pieno centro) da 85mila euro l'anno, il Tfr, la quota all'Inps, l'auto blu con l'autista e la carta di credito per le spese di rappresentanza. Al suo seguito Lissner ha un codazzo di undici dirigenti riccamente pagati. Eppure il bilancio della Scala è in negativo. Rientra infatti in un complesso sistema di fondazioni e teatri che vive coi soldi pubblici ma che sul pubblico grava con un debito complessivo di 360 milioni di euro.
In una puntuale inchiesta Antonio Amorosi ha spulciato per Libero le sacche di inefficienza del sistema della fondazioni che negli ultimi sette anni ha bruciato 1,2 miliardi di euro stanziati dal Fondo unico per lo spettacolo (Fus). Un imponente flusso di denaro a cui vengono a sommarsi le erogazioni ministeriali e gli stanziamenti degli enti locali. Ma i soldi, si sa, non bastano mai. E tra uno sciopero e l'altro ecco che le tredici fondazioni hanno accumulato un "buco nero" di 360 milioni di euro. Di questi ben 47 milioni sono ascrivibili alla Scala di Lissner. Altri 43 milioni sono stati fatti dal San Carlo di Napoli. Il Maggio Fiorentino, dove l'allora sindaco Matteo Renzi aveva piazzato Francesca Colombo con uno stipendio da 247mila euro all'anno, è sotto di ben 37 milioni di euro. E così via.
Il problema è che non solo le fondazioni non generano guadagni, ma non staccano nemmeno biglietti. Solo nella lirica, infatti, il 2013 ha registrato un calo di 100mila presenze. Eppure vanno avanti tutti come se niente fosse. Tanto da infischiarsene anche della legge Bray che fissa per le fondazioni in negativo un triennio di tempo per pareggiare il bilancio "pena la non erogazione dei fondi e la conseguente messa in liquidazione dei teatri". Le leggi, purtroppo, vengono fatte per essere disattese. Tanto che città come Firenze, Milano e Roma non solo non hanno contenuto il debito, ma lo hanno addirittura fatto crescere. Dal 2010 al 2013 è, infatti, cresciuto anche il numero del personale: si è passati da 5.560 dipendenti a 5695. Come spiega Amorosi gli stipendi del personale pesano sui bilanci per circa il 70%. D'altra parte ai vertici vengono staccati assegno con una caterva di zeri. All'Arena di Verona, tanto per fare un altro esempio, Francesco Girondini becca 250mila euro all'anno.
All'Opera di Roma, invece, Carlo Fuotes si accontenta di soli 13mila euro all'anno perché può contare su altri 270mila euro (annui) elargiti sempre dallo stesso ento per altri incarichi. Un sistema che, visto i primi passi fatti, difficilmente il ministro Dario Franceschini si metterà ad abbattere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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