I franchi tiratori non sono bastati. Conservatori tutti d'un pezzo e liberal radicali si sono dovuti piegare di fronte al responso delle urne: l'intesa sul tetto del debito Usa ha passato le forche caudine della Camera. E con largo margine: un 314 a 117 (ne bastavano 218) che ora spiana la strada verso la conversione in legge all'accordo di compromesso, decisivo per evitare all'America il rischio di un possibile default e un più che certo declassamento del proprio rating. Il passaggio al Senato, dove la maggioranza è dei democratici, appare ora una formalità. I primi a non aspettarsi sorprese sgradite sono i mercati, tutti in rialzo ieri (+2% Milano, +0,8% lo Stoxx600, +0,6% Wall Street a un'ora dalla chiusura). Un inciampo al primo passaggio al Congresso sarebbe invece stato fatale. Il tempo delle chiacchiere, delle maratone negoziali estenuanti e inconcludenti era ormai finito. In assenza di un deal, il Tesoro Usa sarebbe stato costretto il 5 giugno (la dead line prospettata dal segretario Janet Yellen) a compiere l'unica scelta possibile per evitare l'onta della bancarotta: pagare capitali e interessi sul debito. Ma le conseguenze a livello internazionale e le ripercussioni sull'economia sarebbero state tutt'altro che trascurabili.
L'accordo è un grosso tampone messo sul corpaccione dell'America per evitare guai immediati. Ma è anche un gigantesco calcio al barattolo, poiché sospende per due anni il debt ceiling consentendo un ulteriore sforamento del plafond - già terrificante - di 31.400 miliardi di dollari. Il greenback resta tuttora la valuta di riserva mondiale, ma in un mondo sempre più conflittuale, dove la faglia fra Occidente filo-atlantico e buona parte del resto del mondo (Russia, Cina, India e una fetta consistente dell'America Latina) si va allargando, le dinamiche valutarie possono diventare imprevedibili. Ciò che Joe Biden ha definito un passo cruciale per proteggere la storica ripresa duramente guadagnata del nostro Paese è un accordicchio che non va neppure a scalfire il problema numero uno dell'America che è quello di vivere al di sopra dei propri mezzi. La frangia più oltranzista del Grand Old Party chiedeva di usare la scure per tranciare la spesa federale (non opponendosi, invece, alle maggiori risorse destinate alla difesa): il risultato è una sforbiciatina da 136 miliardi da qui alle prossime elezioni presidenziali. E anche nella migliore delle ipotesi, quella formulata dall'Ufficio di bilancio del parlamento, sono appena 1.500 i miliardi che verranno risparmiati in un decennio se chi governa avrà mani meno bucate.
Passato lo spavento, i mercati possono tornare a concentrarsi sulla Fed e sui dubbi amletici di Jerome Powell.
Bloomberg scrive che la ripresa vacillante della Cina frenerà l'inflazione Usa e globale, limitando la già ridotta aggressività della Fed. Salgono così le possibilità di un nulla di fatto sui tassi il 14 giugno. Vale a dire, ricchi premi e cotillon per tutti. Finché dura la festa.
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