L'inflazione tira il freno ma sembra uno yo-yo. L'emergenza non è finita

Prezzi +7,6% a maggio, ma solo per l'energia. Bce già pronta ad alzare di nuovo i tassi

L'inflazione tira il freno ma sembra uno yo-yo. L'emergenza non è finita
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La teoria dello yo-yo non esiste in economia, ma se ci fosse potrebbe benissimo essere applicata all'andamento recente dell'inflazione. Moto ascendente contrapposto al moto discendente, in un oscillare talmente imprevedibile da generare abbagli collettivi. Chiedere, per conferma, agli inglesi e soprattutto agli americani. Quest'ultimi, nell'agosto scorso, avevano dato per spacciato il carovita al punto da considerare già al capolinea il ciclo di rialzi dei tassi da parte della Fed. Poi sappiamo come è finita.

È dunque meglio accogliere senza troppe fanfare la notizia che la crescita dei prezzi al consumo in Italia è rallentata in maggio al 7,6% annuo (+0,3% su base mensile), dall'8,2% di aprile, grazie ai beni energetici non regolamentati (da +26,6% a +20,5%) e, in misura minore, agli alimentari lavorati (da +14% a +13,4%). Giusto per dovere di cronaca, l'inflazione acquisita (cioè il tasso che si avrebbe alla fine dell'anno se non ci fossero più variazioni) è pari al 5,6%. Le probabilità che ciò accada sono inferiori a quelle di uscire illesi da una discesa dal Bianco con le infradito ai piedi, a meno che il cosiddetto carrello della spesa (+11,3%) si raffreddi improvvisamente e allo stesso modo si comporti l'inflazione core (al netto di energia e cibo), che per ora fatica a ridimensionarsi (da +6,2 a +6,1%).

La tendenza di fondo rimane insomma ancora tesa, e ciò vale anche per la Germania dove la crescita dei prezzi è passata in maggio al 6,1% dal 7,2% del mese prima. Vanno inoltre messi in conto i caveat con cui ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha richiamato le parti sociali alla responsabilità per far tornare stabile la dinamica inflazionistica. Il che significa - lato imprese - smetterla con i ritocchi di prezzo ingiustificati che finiscono per surriscaldare il carovita. La spirale «prezzi-profitti» è un fenomeno di cui si è accorta perfino la Bce, che sui temibili «second-round effects», quelli generati invece dalle richieste salariali, ha costruito una narrazione a cavallo fra noir e fantasy. Per la verità, lo stesso Visco afferma che dev'essere evitata, nelle contrattazioni nel mercato del lavoro, «una dinamica retributiva che replicasse quella dell'inflazione passata», pena «una vana rincorsa tra prezzi e salari». Il governatore è forse preoccupato dai 32 contratti nazionali ancora da rinnovare, per una platea di quasi sette milioni di lavoratori (fonte Istat), ma l'istituto di statistica ricorda anche che dall'aprile dello scorso anno il reddito reale dei lavoratori coperti da Ccnl è sceso del 6,2%.

Un qualche irrobustimento dei salari appare legittimo, ma par di capire che quella «normalizzazione della politica monetaria» cui ha fatto riferimento il capo di Bankitalia dipenda anche dal «nulla chiedere» (o quasi) dei lavoratori e non, piuttosto, dal modo furente con cui la Bce sta affrontando da mesi il nodo dei rincari. Infischiandosene degli inviti alla prudenza rivolti da chi come Fabio Panetta, l'altro membro italiano del board dell'Eurotower, aveva sollecitato i colleghi a «non guidare a fari spenti nella notte» tenendo il pedale dei tassi pigiato. Una voce nel deserto. Francoforte ha continuato a stringere e continuerà a farlo perché è la prima a non fidarsi dell'inflazione a yo-yo e perché il famigerato target del 2% è ancora un puntino lontano.

A dispetto del mantra «decideremo in base ai dati», Christine Lagarde ha già messo in canna almeno altre due strette entro la fine dell'anno (la prima arriverà nella riunione del 15 giugno). È quanto pretendono i falchi, maggioranza in consiglio. Per ora.

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