L'Italia è il decimo player siderurgico mondiale e il secondo in Europa dopo la Germania. Il settore dà lavoro a quasi 35mila persone e produce ricavi complessivi per quasi 60 miliardi di euro. Nonostante ciò, la domanda di acciaio delle imprese italiane continua a superare l'offerta nazionale e noi continuiamo ad essere classificati come importatori. È qui la chiave per leggere l'operazione con cui il gruppo Arvedi di Cremona ha acquistato da Thyssenkrupp la storica Acciai Speciali Terni. Non si tratta di un semplice rafforzamento del gruppo cremonese, il disegno di Arvedi potrebbe essere quello di costruire il più grande polo siderurgico italiano, rendendo finalmente l'Italia indipendente per quanto riguardo la produzione di acciaio.
In questo senso trova fondamento anche la notizia trapelata nelle ultime ore, secondo la quale Giovanni Arvedi, il Cavaliere di Cremona, punterebbe ad acquistare gli impianti di Piombino, oggi di proprietà dell'indiana Jindal e bisognosi di un profondo intervento.
Intanto l'impianto di Terni leader in Italia e in Europa per i laminati di acciaio inossidabile - si aggiunge alle altre sei unità produttive del gruppo: due a Cremona, una a Trieste, la Ilta Inox a Robecco d'Oglio (sempre in provincia di Cremona), la Arinox a Sestri Levante (Genova) e la Metalfer a Roé Volciano (Brescia). A Trieste, alla Ferriera di Servola, Arvedi sta investendo 100 milioni di euro, in parte destinati a realizzare un impianto di elettrolisi che produrrà idrogeno verde da utilizzare per alimentare l'acciaieria. In ogni caso, con l'acquisizione prima di Terni e poi di Piombino, il vero progetto a lungo termine potrebbe essere quello più volte evocato nell'ambiente siderurgico e finanziario ma mai confermato in via ufficiale: la quotazione in Borsa. Una strada ancora tutta da tracciare, ma che nell'arco di 2-3 anni potrebbe vedere aprirsi nuove posizioni e ruoli anche per chi oggi siede nel management dell'ultima arrivata nella famiglia Arvedi, AST.
Quest'ultima, nonostante tutte le difficoltà, è riuscita a chiudere il 2021 con 53 milioni di utile, oltre due miliardi di fatturato e un milione e 79mila tonnellate di acciaio liquido, un risultato che non si raggiungeva dal 2013. «Un traguardo importante commenta il Ceo dell'azienda fondata nel 1884, Massimiliano Burelli considerato che è stato un anno molto particolare: abbiamo dovuto gestire il virus, il passaggio di proprietà da Thyssenkrupp ad Arvedi, un mercato delle materie prime complesso, il prezzo dell'energia che è salito a livelli inaspettati».
«In particolare, le recenti impennate dei costi del gas e dell'elettricità stanno avendo ripercussioni importantissime sulla nostra produzione, perché l'industria siderurgica è uno dei principali consumatori di energia - spiega Burelli -. L'Italia dipende dall'estero, dunque possiamo solo auspicare che il Nord Stream 2, il gasdotto addizionale che porta il gas dalla Russia all'Europa attraverso la Polonia, possa partire prima possibile. Non vediamo possibili alternative, l'unica strada da parte nostra è lavorare per migliorare i consumi e ridurre gli sprechi».
C'è chi indica nella spinta sulle rinnovabili l'unica soluzione al rischio di esposizione alle crisi energetiche dovute a dinamiche geopolitiche internazionali, «ma esserne completamente dipendenti è impensabile» ammonisce il Ceo di AST «pensare che l'Italia possa alimentare gli impianti energivori solo con fonti rinnovabili non è un'opzione praticabile».
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