Melfi, operai reintegrati Il giudice: Fiat voleva solo liberarsi di quei sindacalisti

Uscite le motivazioni con cui la Corte d'Appello di Potenza ha decise il reintegro di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, i tre operai licenziati da Fiat nel 2010 con l'accusa di aver "sabotato" la produzione

Melfi, operai reintegrati Il giudice: Fiat voleva solo liberarsi di quei sindacalisti

Si torna a parlare di sindacati, Fiat e licenziamenti. Sono uscite, infatti, le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d'Appello di Potenza il 23 febbraio scorso ha reintegrato i tre operai Fiat di Melfi licenziati nel 2010 con l'accusa di aver sabotato la produzione durante un'assemblea sindacale, convocata subito dopo l'accordo di Pomigliano fortemente voluto da Marchionne. Giorni molto tesi tra l'azienda torinese e i sindacati, Fiom in testa. Secondo quanto stabilito dai giudici i tre lavoratori, Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte, sindacalisti Fiom, e Marco Pignatelli (iscritto alla medesima organizzazione) non ebbero alcuna "volontà diretta a impedire l'attività produttiva". E da parte loro non cu fu alcun "gesto di sfida nei confronti dell'azienda".

Le motivazioni scritte nella sentenza vanno oltre, specificando che il responsabile della linea produttiva, quella notte "incriminata", tra il 6 e il 7 luglio 2010, in qualche modo provocò i tre lavoratori, tenendo un comportamento tuttaltro che tranquillo e pacato, come sempre sostenuto dalla Fiat. I giudici fanno esplicito riferimento al colloquio avvenuto tra i tre operai e il responsabile, davanti ai carrelli-robot che forniscono la componentistica alle linee di produzione. L'azienda torinese ha sempre affermato che il'atteggiamento ostile dei lavoratori bloccò, di fatto, i carrelli impedendo il prosieguo della produzione. E da questo grave episodio scaturì poi il licenziamento.

Ma cosa fecero, dunque, i tre operai quella sera d'estate? Per la giustizia italiana (la sentenza della Corte d'Appello è stata impugnata dalla Fiat) esercitarono solo il loro diritto di sciopero. Quei licenziamenti, dunque, non furono altro che misure adottate dalla Fiat "per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo". L'azienda ha presentato ricorso in Cassazione e non li ha riammessi in fabbrica, pur corrispondendo loro lo stipendio.  

La decisione di secondo grado è tornata sulle stesse conclusioni del primo giudice del lavoro di Melfi (in seguito ribaltate) che già un anno fa bollò come antisindacale il comportamento della Fiat nel licenziare i tre operai per aver interrotto l'automatismo della fabbrica.

Ora, proprio nei giorni in cui è altissima la polemica sull'articolo 18 e la riforma del lavoro, arrivano queste motivazioni che di sicuro faranno discutere e divideranno. Non solo i lavoratori ma soprattutto la politica.

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