Il realismo di Fed e Bce scuote i mercati

Nelle "minute" delle banche centrali una ripresa incerta e nessuna ricetta prociclica

Il realismo di Fed e Bce scuote i mercati

Federal Reserve e Bce fotografano il mondo reale, non quello ideale tutto balocchi e profumi che piacerebbe tanto ai mercati. I verbali di luglio, con in calce le firme di Jerome Powell e Christine Lagarde, raccontano la stessa, inevitabile storia: la ripresa è debole, il recupero del mercato del lavoro sta perdendo vigore, il Covid-19 è ancora lì. Minute declinate in chiave pessimistica se ne sono spesso viste anche di recente senza che le Borse facessero un plissé. Ciò che è mancato fra mercoledì sera e ieri è il cosa intendiamo fare per uscire dalle spire mortali della pandemia.

Nelle carte delle due banche centrali manca infatti qualsiasi indicazione di ulteriori misure procicliche, non si offrono stampelle pronte all'uso, né si vede all'orizzonte la recovery a V prospettata da Donald Trump. Nei giorni in cui il coronavirus ha dimostrato di essere tutt'altro che debellato, la modalità wait and see è difficile da digerire per gli investitori. E, infatti, in Europa lo Stoxx600 ha lasciato sul campo l'1%, con Milano scesa dell'1,44%, mentre Wall Street a un'ora dalla chiusura oscillava sulla parità. Al calo dei listini azionari hanno fatto da contraltare i robusti apprezzamenti di dollaro, oro e argento, tre porti sicuri quando le acque sono agitate. Del tutto ignorata, fra l'altro, la notizia che la Cina ha concordato con gli Stati Uniti di riprendere i colloqui commerciali nei prossimi giorni.

Ora c'è chi spera in un ravvedimento operoso di Powell e Lagarde la prossima settimana, in occasione del simposio di Jackson Hole. Incastonato fra le montagne del Wyoming, il posto ha per i mercati un potere salvifico: fu proprio da quel palco che l'allora capo della Fed, Ben Bernanke, annunciò il primo piano di acquisto titoli come antidoto contro la crisi finanziaria provocata dai subprime; e, qualche anno dopo, allo stesso modo si comportò Mario Draghi con un discorso che anticipava il Qe da 60 miliardi al mese, poi varato nel marzo 2015. Possibile che il copione si ripeta? La banca centrale Usa ha tirato una linea di bianchetto sulle ipotesi di altre misure monetarie eterodosse e di tassi d'interessi negativi, ma il mercato del lavoro rimane una preoccupazione seria. Del rimbalzo fra maggio e giugno è rimasto solo il retrogusto amaro dell'inganno, e negli States ancora troppa gente tenta di stare a galla grazie al salvagente dei sussidi, saliti la scorsa settimana a 1,1 milioni (+135mila) ed erogati a quasi 15 milioni di americani. Con l'accordo sul nuovo pacchetto di aiuti non ancora siglato fra repubblicani e democratici, la Fed rischia così di trovarsi da sola in prima linea. Con pochissimo tempo per agire, visto che a novembre ci saranno le presidenziali; e con il rischio, qualsiasi mossa di stimolo decida, di subire l'accusa di tirare la volata presidenziale a Trump. Proprio ciò che fece The Donald con Janet Yellen.

La Bce deve invece fare i conti con il Pil dell'eurozona crollato di oltre il 12% nel secondo trimestre, con il grosso degli aiuti di Bruxelles che arriverà solo nel 2021 e col pericolo di una seconda ondata di contagi.

Ma, per ora, Francoforte esclude di mettere ancora mano al Pepp, l'ultimo argine contro l'emergenza pandemica, la cui flessibilità suggerisce che la capacità di acquisti netti del piano (1.350 miliardi, ndr) dovrebbe essere considerata un tetto piuttosto che un target. E' il segno che stanno aumentando le pressioni all'interno del board di quanti sono contrari ad allargare ancora i cordoni della borsa.

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