
Oggi è il D day di un nuovo inizio per Tim, con lo scambio azionario fra Cassa depositi e prestiti e Poste Italiane. I consigli d'amministrazione delle due società, che si riuniranno questo pomeriggio, certificheranno il passaggio del 9,8% di Tim a Poste Italiane e del 3,8% di Nexi a Cdp con un conguaglio di circa 185 milioni. La sensazione però è che si tratti dei primi venti minuti di una partita di calcio che si preannuncia non breve e carica di nuovi colpi di scena. Da quanto filtra, l'ingresso nel capitale di Poste ha molto irritato il fondo londinese Cvc, che ha lavorato a lungo sul dossier ed era pronto a fare un'offerta importante per rilevare il 23,7% in mano a Vivendi come viatico all'integrazione industriale fra Tim e l'operatore francese Iliad. Una prospettiva che ha certamente messo in allerta il governo, preoccupato per la dinamica occupazionale quanto dalla prospettiva di vedere in mani francesi un grande brand italiano come Tim. Le parole del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha preannunciato il ricorso al golden power, sono state lette dal mercato come una strada sbarrata alla coppia Iliad-Cvc con l'effetto di polverizzare la spinta speculativa delle ultime settimane: il titolo ieri è sceso del 7,5% a 0,275 euro.
Insieme a Cvc, a essere su tutte le furie è anche Vivendi. Il punto della società parigina è che se non è possibile vendere la quota (nessun fondo è interessato senza spezzatino o un'aggregazione), allora non resta che tornare a far valere le proprie prerogative di azionisti facendo pesare il proprio scontento per la vendita della rete fissa, magari votando contro il bilancio nell'assemblea dei soci di aprile. Bolloré e soci credono che, con l'ingresso di Poste, ogni strada di aggregazione per Tim sia preclusa: Poste e la società guidata da Pietro Labriola, qualora si accordassero con Iliad avrebbero infatti una quota di mercato superiore al 40%, quindi oltre a quanto tollerabile dall'Antitrust.
Sul mercato, tuttavia, c'è anche chi non dà tutto per sfumato. Da Iliad filtra grande serenità e non c'è alcuna fretta di arrivare a concludere un'operazione che continua a interessare molto. Quanto ai nodi Antitrust, il problema non si porrebbe se l'ingresso di Poste non si tramutasse in una quota di controllo su Tim. In quel caso la quota di mercato con quella di Poste Mobile (4%) non si sommerebbe e tornerebbe di nuovo lo spazio per un matrimonio. Quello che succederà, però, diventerà più chiaro nei prossimi due o tre mesi.
Certo è che l'operazione Poste-Tim ha diverse valenze. Da una parte, uscendo da Tim, la Cdp ha mani più libere per lavorare al dossier rete unica con meno intoppi da parti correlate e possibili conflitti d'interesse, visto che Tim riceverebbe un cospicuo earn-out in caso di accordo. Non è un caso che, tanto l'operazione su Tim quanto la partita rete unica, siano stati assegnati alla regia della stessa persona: il vice direttore generale di Cdp, Fabio Barchiesi. In tal senso i primi colloqui informali tra Kkr (azionista di riferimento di Fibercop), Cdp e Macquarie (azionisti di Open Fiber) sono già iniziati. Inoltre, l'incasso del 3,8% di Nexi permetterebbe a Cdp di salire al 18,2% (con nulla osta per salire ancora) rafforzando la presa sulla società dei pagamenti, ormai sempre più strategica anche in vista della possibile adozione dell'euro digitale. In futuro, poi, il mercato vede già come potenziale partner la società francese Worldline.
Quanto alla situazione in Tim, l'ingresso di Poste
- che verosimilmente si rafforzerà per contare di più - è il presidio di sicurezza in grado di tranquillizzare il governo, che prima di valutare qualsiasi altra operazione intendeva posizionare questo tassello strategico.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.