Verso una "wild economy 2.0"

"Serve gestione zone disagiate e ingresso in filiera carni"

Una «wildlife economy 2.0» che crei un indotto reale, con filiere certificate sul territorio e in grado di sostenere le imprese agricole presenti nelle zone più disagiate. È la proposta dell'Ente Produttori Selvaggina (associazione venatoria riconosciuta dalla legge) che rappresenta aziende venatorie, centri privati di produzione di selvaggina, riserve di caccia, aziende agri-turistico venatorie, allevatori e produttori di selvaggina anche allo stato naturale. Proposta di grande attualità, essendo oggi la vigilia dell'assemblea di Confagricoltura, in programma domani a Milano.

«Sappiamo che in questa situazione economica difficile il nostro settore potrebbe offrire grandi possibilità di sviluppo recuperando tutte le zone interne dell'Appennino - dice il presidente Dino Cartoni Tuttavia bisognerebbe avere il coraggio di legiferare in maniera un po' diversa. Il vero problema è politico, non vedo sensibilità sull'argomento. Ne derivano problemi e difficoltà per tutto il settore che potrebbe fare molto di più. Ad esempio fornire carne fresca di grande qualità, senza antibiotici. In tutto il mondo occidentale i terreni di caccia per la selvaggina appartengono agli agricoltori, mentre in Italia appartengono allo Stato. Operiamo, cioè, su una terra di nessuno che non offre sviluppo. Pagando i canoni».

A livello nazionale il valore economico-occupazionale dell'attività di gestione faunistica produce un impatto di 8 miliardi di euro, lo 0,51 del Pil, a cui vanno aggiunte le eccellenze artigianali del made in Italy ritenute da tutti un riferimento mondiale. Oggi queste aziende sono senza fine di lucro. L'Ente, invece, vorrebbe trasformarle in aziende agricole a tutti gli effetti, e quindi a fine di lucro, contribuendo peraltro alle entrate fiscali dello Stato.

«Abbiamo la possibilità aggiunge Cartoni di gestire i territori (oltre 1 milione di ettari in concessione) molti dei quali abbandonati a se stessi. Vorremmo sviluppare le aziende faunistiche anche per ripopolare la fauna, gestire l'ecosistema e di conseguenza incrementare il turismo».

In realtà l'Italia aveva già adottato la normativa Ue che comprende la selvaggina nella filiera

delle carni. «Ma lamenta Cartoni da noi c'è la burocrazia di mezzo, con regole più severe dal punto di vista sanitario. Ragion per cui molte Regioni non l'hanno adottata. E i costi continuano a lievitare giorno dopo giorno».

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