Elezioni presidenziali in Serbia Vince il filo-europeista Tadic

I primi risultati gli assegnano il 51,1% contro il 47,1% del nazionalista Nikolic, che ammette la sconfitta

Il presidente serbo in carica e candidato preferito dall’Occidente, Boris Tadic, ha battuto per un pugno di voti l’ultranazionalista Tomislav Nikolic, che ha ammesso la sconfitta nel ballottaggio per le elezioni presidenziali in Serbia. Stando ai primi exit poll, Tadic è in testa con il 51,1 contro il 47,1% dei voti. L’affluenza record alle urne del 67%, soprattutto nelle roccheforti di Tadic, ha favorito una vittoria risicata del capo di Stato uscente.
Subito dopo la chiusura dei seggi Nikolic aveva annunciato alla Tv russa di aver vinto. Qualche ora dopo però anche i suoi hanno ammesso la sconfitta: sembra per soli 120-130mila voti. I sostenitori del Partito democratico di Tadic, nella tarda serata di ieri, stavano già organizzando carosell di auto per Belgrado. Non c’è molto da festeggiare,il Paese è spaccato in due.
Ieri i seggi sono rimasti aperti dalle 7 alle 20. Al primo turno del 3 febbraio Nikolic aveva surclassato il rivale con il 39,9% delle preferenze mentre Tadic aveva ottenuto il 35,39%. La bella giornata di anticipo primaverile ha favorito l’affluenza alle urne, ma tutti i sondaggi davano i due contendenti divisi da pochi voti, e così è stato. Nulla, tenendo conto che gli aventi diritto sono 6,7 milioni.
La sfida è stata influenzata dall’annunciata indipendenza del Kosovo, la provincia ribelle a maggioranza etnica albanese che formalmente fa ancora parte della Serbia. «Io scelgo Tadic, tanto comunque il Kosovo lo abbiamo già perso», commentava ieri il taxista Ivan, fuori dalla stazione ferroviaria centrale della capitale. «Lo so è già perso, ma almeno votando Nikolic posso dire di non essere d'accordo», gli rispondeva un collega.
Alla vigilia del voto di ieri Tadic aveva detto che queste presidenziali rappresentano «una sorta di referendum sulla via che la Serbia deve prendere. Sono sicuro che gli elettori sceglieranno la strada verso l’Unione europea. Questo paese non vuole tornare all’isolamento».
Nikolic aveva cercato di accreditarsi, infilando la scheda nell’urna, come l’uomo della provvidenza: «Senza di me la Serbia non ha futuro essendo un Paese oramai in agonia». Musica per le orecchie del suo capo all’Aia, Vojislav Seselj, accusato di crimini di guerra nell’ex Jugoslavia e ancora presidente del Partito radicale guidato in patria da Nikolic.
La partita cruciale delle presidenziali, giocata sulla differenza di pochi voti, è stata determinata dal rifiuto del primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, di appoggiare Tadic, suo alleato di governo. I due leader serbi si odiano, ma sono costretti a convivere. Secondo gli analisti il 30% degli elettori che al primo turno avevano premiato Velimir Ilic, il candidato di Kostunica, al secondo avrebbero votato per Nikolic. Gli altri, però, si sarebbero divisi fra astensione e preferenza a Tadic. Il presidente in carica dovrebbe avere ottenuto il voto compatto delle minoranze ungheresi e rom timorose del ritorno di un nuovo uomo forte dopo l’era Milosevic.


Inoltre, Tadic è stato premiato dagli elettori del partito di Cedomir Jovanovic, l’unico politico serbo che non si strappi i capelli per l’incombente perdita del Kosovo. Nikolic, invece, ha sicuramente incassato i voti del Partito socialista che venne fondato da Milosevic.
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