India, l'italiano liberato: 'Ho vissuto giorni spaventosi'

Il racconto di Claudio Colangelo: "Condizioni dure, ho preso la malaria. Ma ci trattavano bene. Panda, il capo dei maoisti, non è un violento, non ha mai ucciso nessuno"

India, l'italiano liberato:  'Ho vissuto giorni spaventosi'

C’è stata gente che ha passato mesi e mesi alla catena, catafratto in una buca scavata da qualche parte in una forra dell’Aspromonte, nutrendosi di carne in scatola a pranzo e a cena e passando il resto del tempo -quando non stavano con un cappuccio in testa- a difendersi dai topi e dagli scarrafoni che gli contendevano quella scatoletta schifa.
A Claudio Colangelo, 61 anni, romano, è andata di gran lunga meglio, anche se lui (però un po’ lo prescrive il ruolo del prigioniero liberato) ora parla di giorni «difficili». E secondo qualche altra vulgata, addirittura «spaventosi».

Più suggestivo il paesaggio, tanto per cominciare. Anche se la giungla dell’Orissa presenta i suoi inconvenienti; epperò tali da indurre torme di turisti assetati di brivido e di avventure nel mondo ad affrontare a pagamento i disagi che Claudio Colangelo ha avuto gratis e si sarebbe risparmiato volentieri, quantomeno nella misura, oggettivamente un filino eccessiva, in cui gli sono stati serviti. E più chic, per così dire, anche i rapitori, quei «maoisti» spinti al malo passo del sequestro di persona non per ricavarne denaro ma per ottenere la liberazione di certi loro compagni ristretti nelle galere indiane. E poi la durata (dieci giorni) della prigionia: una prigionia itinerante, com’è del resto la vita del guerrigliero in ogni tempo e ad ogni latitudine, randagio e inafferrabile per principio e per disorientare i lealisti inseguitori, le spie e i cacciatori di taglie. Che si perda solo qualche chilo, in situazioni del genere, e si rimedi un po’ di malaria, quando il teatro delle operazioni è quello della lussureggiante giungla indiana, è dunque tutto grasso che cola, se ci si passa la freddura.

In compenso, ha assicurato Colangelo ai suoi primi intervistatori, «il morale è abbastanza alto». Nel corso della prigionia «ci siamo mossi nella giungla» e il trattamento è stato buono. E poi ancora: «Hanno fatto di tutto per venirci incontro», confermando che il capo dei maoisti, che si chiama Panda, si è rivelato «buono» di nome e di fatto. «Erano tutti molto gentili. Anche i bambini...perché tali mi sembravano alcuni di loro, e poi anche le donne, tutti quanti mi hanno trattato bene». Anche il mangiare, date le circostanze, non è stato malaccio. Quanto alle circostanze che hanno portato alla loro cattura, Colangelo nega che lui e Bosusco stessero fotografando qualcosa di proibito: «Si sono fatte tante speculazioni, ma preferisco non entrare nel dettaglio. Noi non c’entriamo niente con questa guerra. Stavamo solo facendo il bagno quando sono arrivati alcuni uomini armati».

Trionfo della Tv, infine, visto che i guerriglieri, maoisti ma non insensibili alla modernità, hanno scelto il sentiero immediatamente più spettacolare per dare enfasi alla liberazione del loro prigioniero.
Claudio Colangelo dunque l’ha sfangata. E ora spera che i maoisti lascino andare a breve anche l’altro ostaggio, Paolo Bosusco. Non dovrebbe essere difficile, spera il nostro ministro degli Esteri Terzi, e lasciano intendere i giornalisti della rete televisiva indiana Ndtv nelle cui mani, dopo una marcia di due giorni e mezzo, è stato consegnato il nostro connazionale. Senza contare che a Bosusco, uomo allenato a certi disagi, la prigionia dovrebbe sembrare meno dura.

La guida piemontese aveva preso a gestire dalla fine dell’anno scorso un’agenzia di viaggi a Puri, la Orissa Adventurous Trekking, che organizza escursioni per conoscere da vicino le tribù interne della regione indiana.

Una ditta che nel nome ha già il suo programma, profilandosi quest’ultimo più disagevole di quanto non sia una passeggiata di salute al giardino botanico di Lugano, al tempo in cui fioriscono le azalee. E insomma, almeno Bosusco, se non i suoi clienti, dovrebbe sapere che chi va per questi mari questi pesci prende, come dicono da noi, al Sud.

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