Il Paperone dell'Ucraina offre una soluzione a Putin

L'uomo più ricco del Paese, Rinat Akhmetov, propone accordi (sottobanco) alla Russia: in cambio chiede che non mettano le mani sulla sua regione

Il Paperone dell'Ucraina offre una soluzione a Putin

All'apparenza il peggio è dietro l'angolo. Ieri dopo due giorni di disordini il governo di Kiev ha mandato le forze speciali all'assalto della prefettura della città orientale di Kharkiv arrestando una settantina di separatisti filorussi asserragliati nell'edificio. Un'esibizione di forza seguita dagli accenni al rischio di «guerra civile» del ministro degli esteri russo Serghei Lavrov e dai moniti del segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen che intima a Mosca di ritirare le truppe dai confini ucraini. A rendere la situazione ancor più incandescente, dopo la smentita della notizia secondo cui i filorussi avrebbero preso ostaggi e minato alcuni edifici, ci pensa il segretario di Stato americano John Kerry. «Quello a cui assistiamo - dichiara - è il tentativo illegale e illegittimo di Mosca di destabilizzare uno Stato sovrano e creare una crisi artificiale».

Ma forse il destino del Donbass, la regione orientale a maggioranza russa dove si concentrano le miniere di carbone e le industrie metallurgiche considerate l'unica autentica ricchezza dell'Ucraina, non la decideranno né il governo rivoluzionario di Kiev, né Vladimir Putin, né la Nato. Al Donbass sta già pensando il più famoso dei suoi Paperon de' Paperoni, ovvero quel Rinat Akhmetov considerato l'uomo più ricco dell'Ucraina. Un oligarca 47enne seduto su un patrimonio personale da 11 miliardi di euro, inserito da Forbes nella classifica dei primi 50 nababbi planetari e conosciuto nel mondo del calcio come l'indiscusso patron dello Shakhtar, la squadra del cuore dei tifosi di Donetsk. Un magnate dal passato non proprio cristallino. A proiettarlo nel mondo del calcio e dei grandi affari, trasformandolo da gregario in protagonista, è la bomba che nell'ottobre 1995 fa a pezzi Akhat Bragin, il presidente dello Shakhtar calcio, in pungente odor di mafia, di cui Akhmetov è stato per svariati anni l'obbediente braccio destro. Ma il passato, come sa bene chi ha tentato d'inchiodare Akhmetov, si scorda e si cancella facilmente. Così - nonostante i recenti trascorsi di parlamentare e finanziatore di quel Partito delle Regioni controllato dal deposto presidente Viktor Yanukovych - lunedì l'oligarca Akhmetov bussa alla prefettura di Donetsk, occupata dai filorussi, per offrirsi come mediatore e ricordare che «il Donbass è Ucraina». Ma dietro quell'affermazione rassicurante potrebbero nascondersi propositi non proprio disinteressati. Se il tricolore russo issato sul tetto della prefettura di Donetsk fa temere un ripetersi dell'«operazione Crimea», le avances dell'oligarca nasconderebbero un piano per trasformare la regione in un feudo personale. Un feudo formalmente legato a Kiev, nel nome di quel federalismo di cui Akhmetov si definisce da qualche tempo entusiasta sostenitore, ma rispettoso degli accordi economici con Mosca indispensabili per garantire le ricchezze del Paperone del Donbass.

L'accordo sul Donbass ipotizzato dall'analista politico ucraino Vadym Karasyov, ma smentito da Akhmetov, sarebbe stato siglato durante un recente incontro con Vladimir Putin. Un accordo fondamentale per garantire al magnate gli oltre dieci miliardi di euro d'introiti annui incassati ogni anno da System Capital Management Group, la finanziaria attraverso cui Akhmetov vende alla Russia i prodotti di un centinaio di società minerarie e metallurgiche dell'Est Ucraina. Ma pretendere azioni disinteressate dal figlio di un oscuro minatore tataro musulmano trasformatosi in uno degli uomini più ricchi del mondo è come chiedere ad un lupo d'imboccare un agnello. Proporsi come il garante della sovranità di Kiev su una regione che rischia di fare la fine della Crimea è oggi il migliore degli affari per un oligarca accusato di aver finanziato il deposto presidente Yanukovich. E questo in tempo di sanzioni non è poca cosa. Soprattutto per un oligarca che incassa a Oriente, ma investe in Occidente.

Come sa bene chi ha fatto quattro passi tra gli splendori di quel suo triplo attico di One Hide Park acquistato al prezzo di 153 milioni di euro e trasformato, grazie ad un restauro costato altri cento milioni, nell'appartamento più costoso e sfarzoso di tutta Londra.

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