Siria, Putin abbandona Assad

Il Cremlino toglie l'appoggio a Damasco. Si aprono nuovi scenari internazionali, non necessariamente pacifici

Siria, Putin abbandona Assad

Per oltre mezzo secolo un mantra dei conflitti nel Medio Oriente é stato: “Senza l’Egitto non si può fare la guerra (a Israele) e senza la Siria non si può fare la pace”. Ma questo mantra (piuttosto discutibile) é ancora valido ora che la Russia ha abbandonato il presidente Assad dopo averlo sostenuto per 18 mesi nel mare di sangue di una guerra civile?

Le ragioni del sostegno di Mosca sono note: tradizionale ambizione russa di accesso al Mediterraneo; importanza stategica delle basi navali russe di Tartus e Latakia; protezione degli interessi economici e degli investimenti russi in Siria assieme alle migliaie di tecnici, insegnanti, residenti russi da anni installati in quel paese; rancore per il mancato rispetto occidentale degli impegni presi assieme ai russi nel confronti di Gheddafi.

Per Putin la perdita del controllo sulla Siria rappresenta uno scacco politico e di prestigio notevole reso ancora più grave dalla rigidità diplomatica moscovita di tipo sovietico nei mesi scorsi che è stata alimentata dalla speranza che Assad riuscisse a piegare la rivolta. Lo sviluppo della rivolta, il suo carattere sempre più islamico, rendono ora difficile la creazione di un governo nazionale “laico” senza Assad a Damasco come auspicato dal Cremlino. Si tratta però anche di una “patata bollente” lasciata nelle mani dell’Occidente e della Turchia. La lunga guerra civile, l’odio creato dall’uccisione di oltre 40 mila persone, lo sradicamento di una massa di 150 mila profughi in Turchia, Giordania , la distruzione di infrastutture in una economia già debole, l’assenza di accordo interno e soprattutto di personalità nazionalmente riconosciute alla guida della rivolta, rendono più probabile il caos e la trasformazione della guerra civile in guerra religiosa piuttosto che il raggiungimento rapido di una intesa e la fine delle violenze.

A questo si aggiunge un altro problema: quello di un possibile intervento di forze straniere (sia pure sotto l’egida delle Nazioni Unite) per evitare lo straripamento oltre frontiera di violenze etniche da parte di gruppi situati a cavallo delle frontiere stesse, in particolare il gruppo curdo che già si organizza a “nazione” indipendente lungo il confine turco e i cristiani e drusi nei pressi del Libano. Difficilmente Mosca si terrebbe fuori da un intervento straniero in Siria , senza contare la reazione dell’Iran (che ha già inviato suoi consiglieri militaria Damasco ).

La storia non si ripete. Ma ci sono aspetti nell’attuale crisi siriana che fanno pensare a quella spagnola degli anni ‘30 del secolo passato.

E come la crisi spagnola che non poté essere risolta se non dopo radicali cambiamenti di regimi e un nuovo assetto europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale, così - con tutte le differenze del caso – la crisi siriana non potrà essere risolta senza un assestamento nuovo dell’intero Medio Oriente.

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