La solidarietà (gratis) per le ragazze nigeriane

La campagna per le studentesse rapite diventa virale, gara dei Vip a mettersi in posa

La solidarietà (gratis) per le ragazze nigeriane

Dai giardinetti della Casa Bianca ai salotti del politicamente corretto nostrano, ripulirsi la coscienza costa poco. Basta, come insegna Michelle Obama, abbandonare per un attimo pomodorini e zucchine rigorosamente organic, dell'orto presidenziale e scrivere #BringBackOurGirls. Al resto ci pensa twitter. O meglio non ci penserà nessuno. In Nigeria lo sanno bene. Senza un adeguato pagamento o un'azione di forza, le 276 studentesse della scuola di Chibok rapite dai Boko Haram il 14 aprile scorso non torneranno libere. E la campagna che smuove i cuori e le illusioni dell'Occidente servirà soltanto ad alzare il prezzo del riscatto. O, peggio, a moltiplicare la sinistra fama dei «talebani neri» spietati nemici, come ricorda lo stesso nome Boko Haram, della «civiltà occidentale».
Per capirlo basta ascoltare i proclami del loro capo Abubakar Shekau che rivendica il rapimento e aggiunge «Fanno tanto rumore solo perché ho preso delle ragazze educate all'occidentale». Quella frase è, paradossalmente, l'unico bisbiglio di verità in una cacofonia di deliri. E ben identifica, nonostante l'indegnità di chi la pronuncia, l'ipocrisia di chi da Michelle Obama ai nostrani sostenitori del pensiero omologato (Corriere della Sera, Repubblica, Partito Democratico, Radio 24, Gad Lerner, Sel solo per citare i tweet di ieri) fa a gara a rilanciare quel cinguettio. Un cinguettio figlio non della pasciuta Michelle, ma di Ibrahim Abdullahi, l'avvocato nigeriano che due settimane fa ideò l'angosciato messaggio. Ma l'angoscia di chi vive sulla propria pelle la minaccia dei Boko Haram ha poco a che fare con il cinismo di chi, da queste parti, rilancia l'appello nel nome del politicamente corretto. E usa il dramma delle ragazzine nigeriane per guadagnarsi, a colpi di tweet, un posticino nella cerchia del virtual chic.
Per sei lunghi anni i nostrani maître à penser della gioiosa banalità in 140 battute hanno spensieratamente ignorato i massacri costati la vita solo quest'anno a 1500 nigeriani. E hanno placidamente guardato altrove mentre il fanatismo islamista bruciava chiese, distruggeva scuole, massacrava cristiani. Non si sono stracciati troppo le vesti neppure quando la stessa sorte toccava a Franco Lamolinara e Silvano Trevisan, due nostri connazionali rapiti e barbaramente uccisi dagli stessi autori del sequestro delle studentesse. E ora, mentre presi dalla frenetica gioia di accodarsi al conformismo in 140 caratteri rilanciano quel «#bringbackourgirls», manco si ricordano di Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri, i due preti italiani rapiti il 4 aprile, assieme alla suora canadese Gilberte Bussier, da un gruppo Boko Haram sconfinato in Camerun. Di loro in fondo chissenefrega. Sono italiani ed aiutano i disgraziati d'Africa minacciati da miseria e fanatismo, ma vuoi mettere la loro anonima, silenziosa missione con la cinguettante notorietà regalata da un hashtag di Michelle Obama?
A ben vedere un sussulto di pietà, se non proprio un cinguettio, la meriterebbero anche i 174 disgraziati di Gamboru Ngala massacrati dai Boko Haram la notte tra domenica e lunedì scorso per aver dato ospitalità ai militari mandati a cercare le studentesse rapite.

Ma Michelle ne parla? Repubblica rilancia? Vanity Fair ne scrive? No. E allora perché perder tempo? Lancia un #bringbackourgirls, condividilo con chi conta e torna a farti quello che consiglia il senatore Razzi. Non sarà politicamente corretto, ma il risultato è lo stesso.

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